“Non vi è motivo di precludere l’adozione stessa alle coppie di conviventi, eterosessuali oppure omosessuali, così come alle parti di un’unione civile”. È questa la conclusione dell’“Indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido”, la cui relazione finale è stata presentata ieri in commissione Giustizia alla Camera dalla presidente Donatella Ferranti.
Dopo mesi di discussione e di audizioni di diversi soggetti, tra cui magistrati, docenti universitari, giuristi, associazioni, la Commissione ha concluso l’indagine che dovrebbe aprire la strada alla riforma della legge 184/83 che disciplina, appunto le adozioni.
Il superiore interesse del minore
A farla da padrone, in ogni passaggio della relazione conclusiva è “il superiore interesse del minore quale soggetto portatore di diritti fondamentali garantiti dall’articolo 2 della Costituzione”.
Sulla questione, delicatissima, dei requisiti per potere adottare e, quindi dell’estensione anche alle coppie omosessuali, la presidente Ferrari ha sottolineato “una convergenza pressoché unanime da parte dei docenti universitari, dei magistrati, degli avvocati e dei rappresentanti di associazioni, ad eccezione della Comunità Papa Giovanni XXIII, del Centro studi Livatino e dei Comitati Sì alla famiglia“.
La società è cambiata e anche la famiglia
Molte le osservazioni fatte riguardo al fatto che, da quando la legge fu promulgata nel 1983 ad oggi, la società sia molto cambiata insieme al panorama delle famiglie. “La centralità dell’adozione legittimante nell’attuale sistema è legata, al criterio dell’«imitatio naturae» – si legge nella relazione -, che rimanda, peraltro, ad un’idea di infanzia abbandonata non più corrispondente al mutato assetto della realtà sociale e ad una pluralità di modelli di famiglia che, in ragione dell’articolo 2 della Costituzione, hanno tutte una comune rilevanza“.
Non si può delegare alla magistratura
Raccogliendo l’appello lanciato dal primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio durante l’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario, poi, il testo ricorda che “la questione relativa ai requisiti soggettivi per l’accesso all’adozione non può non essere oggetto di intervento da parte del legislatore, che non può delegare integralmente tale compito alla giurisprudenza”.
Anche per questo è “opportuno avviare, in sede legislativa, un’attenta riflessione in ordine ai requisiti soggettivi richiesti dalla vigente normativa in tema di adozione, anche al fine di scongiurare il rischio di eventuali disparità di trattamento dipendenti dall’interpretazione estensiva dell’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 del 1983, a seconda del giudice territorialmente competente”. Il riferimento, neanche troppo velato, è alle “adozioni in casi particolari”, le famose stepchild adoption per le coppie omosessuali, le cui sentenze si basano proprio sull’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge sulle adozioni, interpretato non sempre uniformemente dai tribunali a cui le coppie si sono rivolte per vedere riconosciuti i diritti dei propri figli. Ma c’è di più.
La legge sulle unioni civili è “un argomento di riflessione”
La riforma del 2012 svincolava già il rapporto di filiazione da quello coniugale. Cioè stabiliva che non è necessario che i genitori siano sposati perché i figli siano riconosciuti come tali. Alla luce di questo e delle altre considerazioni fatte, la commissione Giustizia osserva che questo principio dovrebbe essere applicato anche alle adozioni. “D’altro canto – recita ancora la relazione – un argomento di riflessione può essere tratto anche dalla recente approvazione della legge n. 76 del 2016, che ha approntato una specifica disciplina delle convivenze, cristallizzando diritti e doveri dei conviventi, il cui legame è fondato sulla stabilità. Ne consegue che il principale requisito da valutare ai fini dell’adozione dovrebbe essere l’idoneità affettiva della famiglia che si renda disponibile ad accogliere il minore adottando”. Non dovrebbe essere considerato come determinante che chi chiede di accedere all’adozione sia sposato, ma la stabilità del legame tra le parti, siano esse etero o omosessuali.
Non c’è motivo per escludere le coppie omosessuali dalle adozioni
E infatti poco più avanti nella relazione arriva la chiara apertura all’adozione per le coppie omosessuali. L’adozione, infatti, osserva la Commissione è “un istituto connotato da una forte componente solidaristica, funzionale ad assicurare al minore, conformemente ai principi di cui all’articolo 2 della Costituzione, un’adeguata educazione ed assistenza, morale e materiale”. E in base a questo, prosegue il testo, “è stato evidenziato, da parte di autorevoli esponenti della dottrina, della giurisprudenza e dell’avvocatura, che non vi è motivo di precludere l’adozione stessa alle coppie di conviventi, eterosessuali oppure omosessuali, così come alle parti di un’unione civile”.
Nessun automatismo
Non è l’orientamento sessuale o lo status di chi chiede di potere adottare a dover fare da discrimine, quanto, invece, che sia garantito “il superiore interesse del minore e, correlativamente, l’esistenza di una idonea relazione affettiva tra l’adottante e l’adottato, dovendo tali presupposti essere accertati dal giudice, caso per caso, senza alcun automatismo”. Una ulteriore tutela è individuata in una durata minima dell’unione o della convivenza tra gli adottanti per indicare una certa stabilità nel rapporto.
Apertura anche alle adozioni per i single per le quali la Commissione ricorda che “la Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che nei principi costituzionali non è ravvisabile alcun elemento ostativo ad eventuali innovazioni legislative che vadano in questa direzione”.
Legame biologico e responsabilità genitoriale
In conclusione, poi, la Commissione ribadisce un importante principio: non c’è relazione tra la responsabilità genitoriale e il legame biologico. “Anche in ambito familiare, si può, infatti, configurare una responsabilità da «contatto sociale», riferendosi chiaramente tale ultimo concetto a nuove figure di famiglia, contraddistinte da relazioni affettive qualificate, dalle quali discendono diritti e doveri di collaborazione, cura, protezione e vigilanza nei confronti del minore“.