Pochi giorni fa abbiamo conosciuto la storia di Alessia: una sentenza del Tribunale di Bari le ha permesso la riattribuzione anagrafica del sesso anche in assenza di un intervento chirurgico.
Una nuova grande vittoria nella battaglia per tutte le persone che sono costrette a rivolgersi ai Tribunali per avere documenti coerenti con la propria identità e che (non sempre) vogliono modificare chirurgicamente il proprio corpo ed essere dunque costrette ad una sterilizzazione forzata.
Le numerose sentenze nei Tribunali degli ultimi mesi sono il diretto riflesso di due importantissime sentenze delle corte superiori: la sentenza della Corte di Cassazione n.15138/2015 e la sentenza della Corte Costituzionale n.221/2015, che ha espressamente sancito come sia irragionevole subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità di genere, alla sottoesposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – anche pericolosi per la salute.
La procedura di riferimento per la riattribuzione anagrafica di sesso però è rimasta la stessa da oltre 30 anni, ed è quella della legge 164 del 1982: ed è un procedimento giudiziario (lungo, faticoso e dai costi elevati) in cui serve essere assistiti da legali preparati e non una semplice procedura amministrativa, come avviene in altri paesi tipo anche la vicina Spagna dove c’è una legge più avanzata.
Ci auguriamo che presto, anche in Italia, il riconoscimento della propria identità di genere da parte dello stato diventi se non semplice quanto bere un bicchiere d’acqua almeno un procedimento meno simile ad un calvario.