Ho fatto una cosa incredibilmente gender, nelle ultime settimane a scuola. Ho fatto leggere un libro in cui uno dei due personaggi chiama “mamma” il suo papà adottivo, il quale cresce la figlia insieme a quattro amici, tutti maschi. Roba che Adinolfi, se lo venisse a sapere, chiederebbe il mio scalpo a chi di dovere. Il libro è famosissimo, di Luis Sepúlveda. Si intitola Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Parla di adozione, affidata a un single – il gatto Zorba, nello specifico – che Fortunata, l’altra protagonista, scambia appunto per madre.
Sarebbe gender, tutto ciò: almeno se dovessimo seguire alla lettera la follia interpretativa che certi professionisti dell’omofobia applicano a film, romanzi e altri esiti della creatività umana quando si parla di sentimenti. Eppure l’amore, per qualcuno, non ha regole poi così ferree. È un mix di emozioni, di tentativi – non sempre ben riusciti – e di buona volontà. Ho parlato in classe anche di questo, del fatto che un’intera scolaresca non ha potuto vedere Kung fu Panda III, perché avrebbe potuto “confondere le idee”. Ed uno dei miei alunni, un po’ sgranando gli occhi, mi fa: «Ma è la storia di un panda che viene cresciuto dal padre adottivo e poi ritrova quello vero…». Ed è esplosa una risata, perché a quella età è ben chiaro il concetto di “adozione”, mentre riesce davvero difficile comprendere che ci sia gente che non conosce la differenza tra un mammifero e un papero. Ma tant’è.
Scrivo questa riflessione a margine della sentenza del Tribunale dei minori di Roma, che ha sancito la legittimità dell’omogenitorialità maschile, con buona pace di ogni family day possibile, di qualche femminista omofoba e di tutti i Giovanardi che esistono. Un organo dello Stato ha stabilito che per essere buoni genitori non è necessario un orientamento specifico, ma appunto quel mix di intenzioni, buoni sentimenti e dedizione che già da anni la letteratura e la cinematografia raccontano con parole superbe e con immagini toccanti. Rimando a questo punto alla storia di Maleficent, in cui il bacio del vero amore non è quello del principe, ma dell’amore incondizionato di una strega poi divenuta madre (adottiva) verso la figlia che non pensava di avere, la principessa Aurora.
Riuscivo a stento a trattenere le lacrime, quando in una delle mie classi ho letto il finale della Gabbianella: Zorba comprende la naturale propensione al volo della figlia adottiva e comprende che è arrivata l’ora di metterla alla prova, anche se questo comporterà la separazione. E nell’ultima pagina del libro, quando Fortunata ci riesce e grida, felice «Guarda, Zorba, sto volando!», il gatto nero, buono, grande e grosso del porto non sa se sono le sue lacrime o la pioggia a bagnare le sue guance innamorate. Perché essere genitori è anche questo: la cura, la protezione del nido e poi lasciar spiegare le ali, per guadagnare il cielo e fare le proprie scelte.
Una classe politica, di qualsivoglia natura e collocazione ideologica, che non riesce a contenere nella sua azione la potenza evocativa della poesia è destinata al fallimento e condannata alla mancanza di futuro. Le storie di gatti e gabbiane, anatre e panda, streghe e principesse, ci insegnano che la vita là fuori – fuori da certi deliri da tastiera, innanzi tutto – è molto più capace di realtà di quanto siamo disposti ad ammettere. Avviene con la generosità di una donna che dà liberamente il suo corpo per far nascere altri bambini e bambine, accade nella scelta coraggiosa di chi sceglie la dedizione per chi non c’è ancora, succede tutte le volte che decidiamo di procedere per tentativi, per quanto goffi, per permettere ad altri/e di aprire le ali. Ci insegna questo la sentenza di Roma, in alleanza con le parole degli scrittori e dei poeti.
Concludo ricordando i tragici fatti che nelle ultime ore hanno insanguinato la vita di decine di persone e che, negli ultimi mesi, ci hanno lasciato sgomenti di fronte all’orrore e alla morte di persone innocenti. Credo che, di fronte alla bruttezza della storia, la possibilità di dare vita (in modi vari e differenti) e opportunità sia un formidabile antidoto alle miserie dell’uomo. Non comprendere che il miracolo della vita ha connotazioni e grammatiche più complesse, rispetto a quanto siamo disposti ad accettare, significa collocarci dalla parte di chi non riesce a comprendere la grandezza di tali gesti. È una scelta di campo. Poi, va da sé, ognuno è libero di decidere in quale parte della barricata investire le proprie energie.