La recente presa di posizione di Arcilesbica, alla vigilia del Toscana Pride, ha creato le dovute reazioni rispetto a un documento che per linguaggio e per tempismo rievoca le migliori performance dei soliti noti contro tutto ciò possa essere ricollegato all’universo Lgbt. Quelli del no a matrimoni, adozioni e leggi di tutela per capirsi. E quindi, alla Gpa. Che ci fosse una reazione da parte del popolo arcobaleno c’era da aspettarselo. Quando passi una vita a lottare contro stigma e pregiudizio è normale arrabbiarsi, se te li ritrovi all’interno della tua comunità. Stupisce, invece, che alcune delle sodali della “più grande associazione lesbica italiana” (non c’è ironia) si siano mostrate sorprese. Per queste signore insomma, per dirlo alla Cortellesi, vale il motto “mi stupisco del tuo stupìo” affidato, guarda un po’, all’imitazione di Daniela Santanché. La vita sa essere ironica, insomma.
Tutti e tutte contro Arcilesbica
A lanciare l’urlo di dolore per l’ingrata sorte toccata ad Arcilesbica c’è Monica Ricci Sargentini. Nel suo blog sul Corriere – oltre a citarmi, cosa per cui ricambio la cortesia – tende a fornire una ricostruzione parziale e leggermente sbilanciata sulla potenza di fuoco dell’associazione, capace di aver spaccato il movimento in due, tra favorevoli e contrari/e alla pratica della Gpa ribattezzata, con dicitura adinolfiana, “utero in affitto”. Basterà visitare la pagina per capire che sì, sono diversi i commenti e le condivisioni, ma prevalentemente critici rispetto a un passo che viene percepito come ostile ai papà arcobaleno. Una maggiore aderenza alla realtà, insomma, sarebbe gradita.
Le accuse di “lesbofobia”
Sempre Sargentini riprende, tra le altre cose, la seguente dichiarazione di Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica Milano: «Se posso dire la verità sono contenta perché finalmente in questo frangente è emersa la lesbofobia cioè l’atteggiamento di ostilità verso quelle lesbiche che non si uniformano al pensiero degli uomini. Non sono tutti così per fortuna. Ma ora chi non rispetta la nostra autonomia di pensiero è dovuto uscire allo scoperto. Se non serviamo o peggio ci mettiamo d’intralcio, ci ammazzano, fisicamente e moralmente». Parole che si commenterebbero da sole – davvero chi combatte da una vita contro i pregiudizi può essere contenta che quegli stessi esistano? – ma che necessitano di alcune precisazioni.
Lezpop: «Nessun dialogo possibile su quelle posizioni»
In primis: non c’è lesbofobia per due semplici fatti: 1) non si è attaccato l’orientamento di chi ha prodotto quel comunicato e 2) a schierarsi contro quelle parole sono, in grande numero, le donne stesse e soprattutto le donne lesbiche. Sarà il caso di citarne alcune. Milena Cannavacciuolo, ad esempio, sul suo sito Lezpop attacca duramente Arcilesbica e, spiegando le ragioni per cui un dialogo su quelle posizioni è impossibile, ricorda: «Lo scorso anno, al Pride di Milano, i vari gruppi che ruotano attorno ad Arcilesbica e ad un certo femminismo distribuivano materiale informativo contro la Gpa. A pochi passi, il trenino di Famiglie Arcobaleno con i bimbi che grazie alla Gpa sono venuti al mondo». Seguendo il discorso di Gramolini, potremmo parlare di “bambinofobia”. Lo so, fa ridere. D’altronde – come si è forse già capito – la questione è tragica, ma non è seria.
Rossana Praitano: «Un atto politico imperdonabile»
Molto critica anche l’ex presidente del Circolo Mario Mieli, Rossana Praitano, che su Facebook dichiara: «L’incipit del comunicato stampa di Arcilesbica alla vigilia dei vari Pride in Italia è un preciso atto politico. Non casuale nei tempi, nei modi, nelle firme, negli obbiettivi e nella strategia. Dunque, banalmente, fortemente voluto. Quindi, altrettanto banalmente, imperdonabile». Aggiungendo che «usare in tal modo “le parole del nemico” annulla ogni sforzo, ogni riflessione, ogni giustificazione, ogni sano proposito di razionalità e laicità mentale. “L’utero in affitto” sbaraglia ogni modalità o approccio verso la Gpa, e, come pessimo effetto collaterale, stermina una storica associazione come Arcilesbica». E, ovviamente, non finisce qui.
Le donne contro Arcilesbica
Adesso a casa mia, che per una curiosa coincidenza è stata edificata nel mondo reale, funziona così: se in massa ti fanno notare che hai preso un granchio, magari ti prendi un attimo per riflettere e ci pensi su un giorno o due. Poi lo ammetti: “Ho preso un granchio”. È segno di onestà intellettuale e ti rende anche più simpatica. E insomma: se a farti notare che hai detto una sequela di fesserie sono le tue stesse compagne, lesbiche e non, e se a dirti di non dirti “femminista” e dentro il movimento Lgbt sono attiviste che hanno fatto del femminismo e della militanza ragione di studio e di vita – pensiamo a Chiara Lalli, ancora, o al recente contributo di Benedetta Pintus e Beatrice da Vela su Pasionaria – forse le amiche di Arcilesbica hanno un problema bello grosso. Ovvero, non rappresentano che se stesse, in un quadro composito in cui abbiamo diverse posizioni ma in cui la critica è unanime contro quel comunicato.
Una questione di relativismo
Ricordo ancora un aspetto che forse non è chiaro ai/lle più: qui non è in discussione l’essere o meno d’accordo con la pratica della surrogazione. È normale che si può essere in disaccordo con essa, così come si può essere tuttavia a favore. Discorso che può ampliarsi ad altri ambiti, per altro. Io, ad esempio, se fossi donna non credo che riuscirei mai ad abortire e credo di poterlo dire serenamente. Ciò non mi permette di evocare la prigione per chi la pensa in modo difforme rispetto al mio o di auspicare che la legge 194 diventi un reato “universale”. Approccio che hanno certe esponenti del veterofemminismo rispetto alle libere scelte delle donne che decidono di fare una Gpa, o di tipo solidaristico o a pagamento.
Dalla guerra dei sessi alla solidarietà contro il patriarcato
Concludendo: piaccia o meno, la problematica inerente alla surrogacy è molto più ampia e complessa rispetto a chi descrive le donne come povere cretine incapaci di decidere o come polli in batteria da ingravidare ad uso e consumo di ricchi occidentali, possibilmente gay. Questa è, appunto, una riduzione della complessità che portano avanti gli esponenti delle destre più retrive e delle forze ultraclericali. Mi sembra altresì di ravvisare, dietro queste polemiche ad orologeria, una resistenza a un mutamento sociale in atto: per il vecchio paradigma femminista era l’uomo, il maschio, il naturale nemico. Ma a questo se ne sta sostituendo un altro in cui la guerra tra i sessi si sta convertendo in una alleanza tra sodali che riconoscono nel sessismo e nella cultura patriarcale il nemico comune. In molti e molte lo hanno capito da un pezzo. Dall’altra parte della barricata c’è chi non ha ancora capito che siamo nel 2017 e non più negli anni settanta. E non muoversi, rispetto al tratto di strada intrapreso, condanna all’irrilevanza e alle lotte di retroguardia. Se questo fa contente le associate in Arcilesbica, buon per loro. La vita, come diceva Kundera, è altrove. Per fortuna.