L’estate si avvicina e già in molti staranno iniziando ad immaginare le mete per le proprie vacanze.
In attesa di partire, qualsiasi destinazione sceglierete, concedetevi un piccolo viaggio comodamente seduti a casa vostra. Avete paura di volare? Tranquilli, grazie a favolosi stewart e alle coreografie di Madonna, il vostro viaggio sarà memorabile!
Quindi allacciate le cinture e godetevi Rainbow Republic, di Fabio Canino (Mondadori, 2016, 19 euro): 252 pagine di pura distopia che vi catapulteranno in un mondo che finora non avreste potuto nemmeno immaginare.
Un romanzo, forse una fiaba dal lieto fine, che sa catturare l’attenzione del lettore grazie al continuo ribaltamento di valori e disvalori, di cliché e luoghi comuni. Uno stile curato, ma scorrevole, un fiume inarrestabile di situazioni e di dialoghi spesso paradossali.
Visiterete la nuova Grecia rifiorita dopo la grande crisi economica: una nuova gaya repubblica fondata sulla favolosità. Tranquilli, vi accompagnerà una guida d’eccezione: Ulisse, che scoprendo la nuova Grecia, scoprirà il nuovo sé.
Quello di Canino, attore, scrittore, conduttore radiofonico e televisivo, è un inno al riscatto e alla speranza, perché ci sono spettacoli, rari, che danno l’idea che una vita diversa sia possibile e in un momento di disagio, soggettivo e/o collettivo, vengono colti come luce-rivelazione. Vi consigliamo di immergervi nella lettura del libro avendo accanto una bottiglia di Vinocchio o di Uvagina, i due vini che Fabio Canino produce insieme ad alcuni amici e i cui proventi portano avanti progetti di contrasto al bullismo omotransfobico. Mentre aspettate vino e libro, leggete cos’ha risposto il giudice di Ballando con le stelle alle nostre domande.
Rainbow Republic. Un romanzo raccontato attraverso gli occhi sognanti di un bambino?
Be’, no: ho questa idea da una vita. È raccontato attraverso il divertimento che provavo nello scrivere di tutti questi personaggi, di queste leggi; mi faceva molto ridere. Però con la consapevolezza di un uomo, non di un bambino”.
Perché proprio la Grecia?
Prima di tutto perché è un Paese che a me piace molto, è una dichiarazione d’amore alla Grecia e poi perché dicono che tutto è nato da lì, che l’omosessualità è nata lì e quindi voglio tornare da dove siamo partiti. Poi c’è stato il fatto del default, che ha fatto sì che fosse più facile da capire, perché della gente se ne va e qualcun altro si compra tutto. Amo molto la Grecia per la sua cultura e la sua storia, mi piaceva fosse ambientato lì.
Un riferimento anche alla Repubblica di Platone?
Esatto, certo. Ci sono una serie di riferimenti storici e culturali riconoscibili. Chi ha fatto degli studi classici, certamente, qualcosa ci trova.
Un romanzo distopico. Il ribaltamento dei valori tradizionali fa davvero così paura?
Io non credo che faccia paura, né a noi, né agli altri: in realtà io ho voluto compiere questo ribaltamento per smontare tutti i luoghi comuni e gli stereotipi che ci sono. Quando la minoranza diventa maggioranza, la maggioranza diventa minoranza, bisogna rimettere a posto le cose. Non a caso il protagonista, Ulisse, che è eterosessuale, vivendo in questa repubblica in cui la maggioranza è gay e quindi ha leggi sono più indirizzate a loro, si rende conto che, se cambiassero le cose, dovrebbe rimettere in discussione tutta la sua vita. Quindi, non è una questione di paura o non paura, ma una riflessione sul fatto che, chi dà per scontato di avere già tutto, compresi i diritti, e si ritrova improvvisamente nei panni di chi non ne ha e deve combattere tutti i giorni, teoricamente dovrebbe essere portato a riflettere.
Il protagonista, Ulisse, è un giornalista, eterosessuale, ma anche machista, che impara a conoscere le sfumature dell’arcobaleno. Quanto può essere d’esempio alla stampa italiana?
Io ho voluto usare, innanzitutto, una storia d’amore eterosessuale proprio per dimostrare che l’amore è eterosessuale. Nella Rainbow Republic gli eterosessuali sono benvenuti! È una repubblica inclusiva, dove c’è spazio per tutti. Ho voluto un giornalista uomo perché in Italia non è solo un problema di giornalisti, ma, in generale, l’eterosessuale uomo medio ha nel suo Dna questa pseudo diffidenza rispetto a tutto quello che è diverso da ciò che gli fa fare una vita regolare e calma. Per cui il gay, se non è proprio una persona che si ha in famiglia o che si conosce bene, comunque è una distrazione dalla normalità, è una cosa diversa che potrebbe anche mettere in imbarazzo. Ancora di più, se fa il giornalista, teoricamente dovrebbe essere curioso, super partes e parlare di tutto con la stessa forza e la stessa onestà intellettuale, ma a volte non capita. Io ho voluto giocare proprio su questo e far fare ad Ulisse un viaggio anche nella sua stessa vita.
“A scopo terapeutico”, quali politici italiani o personaggi di spicco porterebbe per quindici giorni nella Rainbow Republic?
Ho perso ogni speranza da quel punto di vista, quindi non porterei sicuramente gli omofobi, che, come si legge nel libro, non sono benvenuti. Vorrei venissero di loro spontanea volontà. Se uno non ha voglia di capire, in quel caso, essendoci una repubblica a parte, chi se ne frega: stattene nella tua repubblica e io sto nella mia! Credo che sia un processo che deve partire dal singolo, perché deve essere la persona stessa con la sua curiosità e la sua intelligenza a voler conoscere il prossimo, a voler conoscere il diverso e questo va al di là dell’omosessuale. Se uno non vuol conoscere lo straniero, non vuol conoscere quello che ha un’altra religione, non vuol conoscere quello con un altro colore di pelle, si va poco lontano. Se sei poco curioso, spesso, sei anche poco intelligente.
Sull’isola di Lesbo non dovrebbe andarci nessuno?
(ride) Be’, lì manderei i gay repressi, soprattutto per fargli una terapia shock; ci manderei quelli vigliacchi che si nascondono: i vari Renato Zero, i vari Roberto Bolle, i vari personaggi che sfruttano, come Zero, la comunità gay per vendere dischi, ma poi, quando c’è da prendere delle posizioni, si vergognano di loro stessi. Ecco, uno che si vergogna di sé stesso lo manderei all’isola di Lesbo, ma a zappare la terra, per rendere agli altri la vita più facile.
Economia, politica, cultura: quanto e come, secondo Lei, sono legate? La crisi economica che stiamo vivendo è legata ad una crisi di valori?
Mi dai una responsabilità enorme! Sicuramente la crisi che attraversiamo è anche una crisi di valori, intesi come voler rendere la vita più facile a tutti e non solo a noi stessi, rendere il mondo più bello per tutti. Meno egoismo vuol dire crescita, più egoismo vuol dire crisi. Ci sono molti cinici al mondo e, come diceva Oscar Wilde, “Il cinico è quello che conosce il prezzo di ogni cosa, ma il valore di niente”. In più ho voluto citare l’economia perché esiste una pink economy (e in fondo al libro si possono ritrovare i riferimenti ad internet che parlano di questa realtà), e perché ho voluto dare alla crisi il valore che vorrei avesse nella realtà, ma mi rendo conto che è impossibile! Non a caso nella Rainbow Republic esistono le dragme, perché, usciti dall’euro, non possono tornare alla dracma e allora questo economista, che di notte fa la drag queen, s’inventa le Dragme, banconote le cui effigi sono i volti delle più grandi drag del mondo. Essendo stato il denaro a creare questa crisi, mettendo le drag queen sulle banconote, gli diamo meno importanza e lo riportiamo a quello che doveva essere: solo un mero strumento per comprare le cose, non per decidere sulla nostra vita.
La Costituzione della Repubblica Rainbow trova che le guerre siano volgari e di cattivo gusto. Come verrebbe affrontata l’emergenza terrorismo nel paese descritto nel romanzo?
Il ministro della difesa della Rainbow Republic dice: “Dove non ci sono diritti c’è guerra, dove ci sono diritti c’è pace”. Ritorna il discorso che ci vorrebbero diritti per tutti, non solo per gay, lesbiche e trans. Certo, è un’utopia, ma quello che vorrei è che ci fossero più diritti per tutti. Dove tutti stanno meglio, le guerre non ci sono. Dove non c’è religione, non c’è guerra. Soprattutto, come scrivo ad un certo punto, se sono circondato da persone infelici che me ne faccio della mia felicità? Dovremmo cercare di rendere tutti più felici, perché la felicità di tutti spinge ad andare avanti.
Quindi nella Rainbow Republic non c’è spazio per la religione? Il problema è la religione o la spiritualità?
No, la spiritualità ben venga! Ho molta stima e rispetto per chi ha una spiritualità e la usa per cercare di migliorarsi. Non ho rispetto per chi usa una finta religione come dogma per decidere cosa debbo fare io della mia vita, manipolando gli ignoranti che si fidano di chi gli parla con una tunica. Ho rispetto della religione cattolica, ma non del Vaticano.