Sugli stupri di Rimini ai danni di una turista polacca e di una trans peruviana, si è detto di tutto. Un atto orribile, che ha violato non solo i corpi delle donne che lo hanno subito, ma anche la loro dignità (quella della peruviana, spesso definita al maschile, ancora di più). Contro i quattro ragazzi, due figli minorenni di una famiglia marocchina, un diciassettenne nigeriano e un richiedente asilo congolese, si è scatenata la rabbia di tutti e tutte. Comprensibilmente: il reato che hanno commesso è tra i peggiori che si possano immaginare. Ma la rabbia è dettata dallo stupro commesso (e, lo ricordiamo, dal pestaggio del ragazzo della turista) o un ruolo lo gioca anche la componente razziale? Sostenere che il colore della pelle e le origini non abbiano peso nella condanna di un’intera società nei loro confronti e anche, forse, in un’attenzione così pressante dei media sull’evoluzione della vicenda sarebbe ipocrita.
Le reazioni agli stupri di Rimini
Da cosa si deduce? Innanzitutto dal tono delle reazioni della “gente comune”, la cui rabbia è adeguatamente foraggiata dalla propaganda politica più becera e, a sua volta, fa da humus alle destre estreme. Abbiamo letto cose come “quando accadrà alla Boldrini e alle donne del Pd?”. O ancora: “Peccato che la Boldrini non era lì quella sera, peccato”. Presunti difensori delle donne che augurano lo stupro ad altre donne come se fosse una punizione auspicabile per chi la pensa diversamente da noi. E sono “auspici” che arrivano anche da altre donne, denunciando un’assoluta mancanza di coscienza di genere. Per tacere dell’orribile manifesto realizzato da Forza Nuova in cui, recuperando un’immagine utilizzata dai repubblichini di Salò con un soldato nero che stupra una donna, parlano di “nuovi invasori” e dei testi in cui incitano a “difendere le nostre donne”. Come se le “nostre donne” (ma vostre di chi? ve le siete comprate, le donne?) potessero essere stuprate solo dagli italiani o dai bianchi. E a pensarci bene è proprio così. Perché lo stesso furor di popolo non si solleva quando a commettere lo stesso, identico, orribile crimine sono gli italiani.
Gli stupratori italiani
In questo paese ogni due giorni viene stuprata una donna e i dati dicono che sei volte su dieci a violentarla è un italiano. Quanta indignazione leggete, ogni giorno, contro gli stupratori di casa nostra? Ma non manca solo l’indignazione pubblica, manca anche quella privata. Lo dimostra il caso della ragazzina di Melito di Porto Salvo (in Calabria) stuprata dal branco per tre anni di seguito.
Tre anni! Un fatto di cui, a quanto pare, tutti erano a conoscenza, ma che nessuno denunciava. Una tragedia contro cui il paese non ha mosso un dito. Tra gli stupratori c’è il rampollo di una famiglia della ‘Ndrangheta, il figlio di un maresciallo dell’esercito, il fratello di un poliziotto. Poliziotto che dava consigli al fratello violentatore su come comportarsi. “Quando ti chiamano, tu vai e dici: non ricordo nulla! Non devi dire niente!” riportano le intercettazioni telefoniche. E poi c’è la gente del paese.
“Se l’è cercata”
Come la signora intervistata dal Tg regionale che ha dichiarato: “Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare“. Vicinanza agli stupratori, non alla vittima. E ancora, il prete che durante la fiaccolata di solidarietà alla ragazza (a cui hanno partecipato appena 400 persone su 14 mila residenti) ha spiegato che “corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese“. Prostituzione? Cosa c’entra la prostituzione con lo stupro? Il sottotesto è sempre lo stesso, quello del “se l’è cercata”. E il preside della scuola che se ne lava le mani perché “ognuno deve pensare alla sua famiglia”. E via di seguito.
Due stupri del branco, Rimini e Melito, due reazioni “di pancia” esattamente opposte. Certo, nel caso calabrese c’è di mezzo anche la ‘Ndrangheta, ma questo giustifica un silenzio durato tre anni ai danni di una bambina che, quando tutto è iniziato, aveva solo 13 anni?
Dov’erano i difensori delle donne, a Melito?
Contro i violentatori di Melito nessuno ha fatto manifesti per la “difesa delle nostre donne”, nessuno ha disegnato vignette con uomini appesi per i testicoli, nessuno ha sperato che andassero a casa dell’avversaria politica. Perché la verità è che a voi delle donne non ve ne frega niente. Il corpo delle donne è, ancora una volta, campo di battaglia. È, in questo caso, strumento per alimentare il razzismo e rinfocolare l’odio a mero scopo di collocazione politica.
L’educazione di genere
E mentre in queste ore il ministro Minniti annuncia programmi per stranieri con corsi di italiano e lezioni sul rispetto delle donne parlando di integrazione, poche e inascoltate voci parlano di educazione di genere nelle scuole, i centri anti violenza rischiano di chiudere per mancanza di fondi e in troppi dimenticano che le cifre ufficiali degli stupri sono stime al ribasso del fenomeno perché le donne non denunciano. Per paura, per mancanza di fiducia nelle istituzioni, per vergogna, per mille ragioni su cui bisognerebbe intervenire e, invece, si tace.
Sempre che delle donne ve ne freghi qualcosa
Bene i programmi di integrazione per i migranti, ministro, benissimo. Ha ragione a dire che senza integrazione non c’è sicurezza. Anzi, ci si sarebbe dovuto pensare prima. Ma viene voglia di parafrasare un’espressione cara a chi vorrebbe spedire indietro chi ha origini diverse da quelle italiane: prima gli italiani. Non lo faremo, diremo, invece, “anche gli italiani”. Insegniamo il rispetto e l’uguaglianza di genere anche agli italiani e alle italiane. A partire dalle scuole. Perché “ognuno deve pensare alla sua famiglia”, ma la scuola è il luogo deputato a formare cittadini e cittadine consapevoli, a dare senso civico, a spiegare che una società migliore è una società in cui tutti hanno gli stessi diritti e doveri. E anche questa è una questione di sicurezza. Delle donne, nello specifico. Sempre che delle donne ve ne freghi qualcosa, ovviamente.
Si dice “reazioni”. “Razioni” indica, in genere, un quantum necessario al sostentamento nell’unità di tempo. O forse era un lapsus, per intendere che sì, forse la razione è colma. Saluti.
Ciao, grazie per la segnalazione. Era un refuso che ora è stato corretto 🙂
E prima di Melito abbiamo Pimonte. E prima di Pimonte, e dopo, tutte quelle donne che non denunciano proprio per paura di queste reazioni.