“L’ignoranza è tua nemica, la conoscenza la tua arma” è la scritta che a caratteri cubitali che compare sul camion usato dagli attivisti di Act Up al Gay Pride di Parigi, uno slogan conciso e diretto che ha l’unico scopo di sensibilizzare un mondo che, a differenza di ciò che ci si aspetterebbe in un paese civile, sceglie di non vedere e di passare oltre. Siamo negli anni Novanta, l’Aids sta dilagando e proliferando in tutto il mondo ed in Europa il paese con maggior numero di casi stimati è la Francia. Le case farmaceutiche non collaborano, il numero di morti aumenta drasticamente e i farmaci prescritti – AZT e DDI – sembrano provocare l’effetto contrario a quello sperato.
Il gruppo di Act Up è forse il primo ad accorgersene e a tentare di organizzare una serie di azioni di ribellione che sensibilizzino i media e mettano sotto pressione l’industria farmaceutica. Atti ben pianificati, impulsivi, spesso “vandalici”, ma con un grande significato simbolico.
Il fluire delle esistenze, scandito dall’Aids
Robin Campillo con il suo “120 battiti al minuto”, Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2017, vuole raccontare nel dettaglio un spaccato di storia del suo Paese, ma anche del mondo intero, che oggi, solo un ventennio dopo, sembra aver perso ogni significato ed essere destinato all’oblio. Il regista si presta completamente alla realizzazione di un ritratto, quasi documentaristico, delle vicende pubbliche e private di una decina di giovani attivisti. Segue il fluire delle loro esistenze e dell’Aids che li corrode nel corpo e nello spirito, dona loro la più decorosa e dignitosa uscita di scena rendendoli dei contemporanei eroi mitologici posti davanti al loro letale nemico, armati solo del loro coraggio e della loro fragile tenacia.
La lotta dei primi attivisti anti-Aids
Sean, Nathan, Sophie, Thibault, Hélene portano sulle loro spalle il fardello di una generazione perduta, con dignità. Instancabili portano, con la forza, la loro opera di sensibilizzazione nelle scuole, tra quegli adolescenti che si ritengono superiori ed immuni al virus perché eterosessuali, distribuiscono preservativi e urlano a squarciagola il decalogo della prevenzione spesso spazzato via dal vento dell’indifferenza.
C’è dinamismo nella visione di Campillo, un dinamismo realistico, doloroso, spiazzante e carico di triste verità, alternato ad una surreale dolcezza necessaria, nel privato, per far fronte alla proliferante e maleodorante ruvidezza del presente. La vita fugge, scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura, ci si cala in una desolante bolla di impotenza che attanaglia i protagonisti fino a restringersi, claustrofobicamente, attorno al personaggio di Sean. Si assiste impotenti ad una rapida, silenziosa ed invincibile consunzione: un corpo che si prosciuga, ora dopo ora, in un calvario che non richiede interventi verbali.
Un composto ricamo di eros e thanatos
Nonostante la sua compostezza, “120 battiti al minuto” lascia intravedere tra le maglie di un fitto ricamo di luci e ombre, di silenzi e grida, di eros e thanatos, una massiccia presenza di sentimenti: escono, prima a fatica, poi liberamente, sempre con cautela per non renderli spettacolarizzabili o fraintendibili. Campillo punta sull’universalità, sul bisogno di estendere temporalmente, socialmente ed antropologicamente una piaga, oggi meno devastante, ma lontana dall’essere debellata.
Un film che farà discutere
“120 battiti al minuto” esce in sala, distribuita da Teodora Film, il 5 ottobre e chissà che non si trovi al centro di qualche polemica, come è avvenuto all’uscita in Francia dove, però, più di mezzo milione di spettatori è corso nelle sale a vederlo. Se ne parlerà e sarà comunque un bene, poiché, come ci insegna la pellicola, l’importante è combattere la dilagante tendenza alla rimozione di un capitolo di storia per convenzione ritenuto chiuso.