“Hefner non era un visionario, ma un misogino”. Mentre ieri la quasi totalità dei media piangeva la morte di Hugh Hefner, fondatore dell’impero Playboy, una voce fuori dal coro cercava di dare una visione diversa di quello che è stato, nel panorama culturale, il patron di tutte le “conigliette”.
Mentre tutti lo salutavano, appunto, come un visionario, uno che ha contribuito alla rivoluzione sessuale dalla fine degli anni ’50 in poi, colui che avrebbe sdoganatola sessualità femminile e il soft porn, dagli Usa la Glaad alzava il dito per dire: “No, non è così”.
“Un pioniere? Niente di più lontano dalla realtà”
La Gay and Lesbian Alliance Against Discrimination, longeva organizzazione che si occupa di discriminazioni di genere con focus specifico sui media, lo ha definito “un misogino”.
Lo ha fatto, per la precisione, la presidente dell’associazione, Sarah Kate Ellis con una sequenza di tweet. “È allarmante come i media stiano dipingendo Hefner come un pioniere o un attivista della giustizia sociale – ha scritto Ellis -. Perché niente è più lontano dalla realtà. Hefner non era un visionario, era un misogino. Ha costruito un impero sessualizzando le donne e diffondendo stereotipi che hanno causato danni irreparabili ai diritti delle donne e tutta la nostra cultura“.
“Si è agganciato ad un sommovimento in atto”
Un giudizio fuori dal coro unanime dei media, ma condiviso nella sostanza anche da alcune voci italiane. Come quella della giornalista e scrittrice Giulia Blasi che ha affidato il commento sulla scomparsa di Hefner alla sua pagina Facebook.
“Ci manca solo un “bomber” e abbiamo tutto il quadro del culto nei confronti delle figure che rappresentano una mascolinità d’antan, fatta di Aqua Velva e aggressività sessuale” scrive Blasi.
“L’equivoco è sempre quello – continua -: che niente nel mondo possa davvero avvenire senza il consenso e la mano magica di un uomo che lo rende possibile. (…) La rivoluzione sessuale agli occhi di molti è avvenuta tramite Hefner; non è Hefner che si è agganciato a un sommovimento già in atto, a un cambiamento nei costumi che si stava già verificando, figlio della fine della guerra e della maggiore consapevolezza che le donne avevano di sé, dopo essere rimaste sole a mandare avanti il paese mentre gli uomini erano in guerra”.
“Ha piegato la rivoluzione sessuale”
E ancora: “Se Hefner ha un merito è tutto imprenditoriale: ha intuito l’avvento della rivoluzione sessuale e l’ha piegata a un canone rigidissimo, in cui le donne sono oggetto e non soggetto sessuale, e in cui solo le giovani e graziose sono degne di partecipare alla rivoluzione e di esprimere la loro sessualità in maniera esplicita”. “Le vecchie, le brutte, le non conformi e le lesbiche – incalza – possono stare a casa, a meno che non si tratti di stuzzicare le fantasie degli uomini con il suggerimento di un rapporto incestuoso fra gemelle (un tema ricorrente nelle pagine di Playboy)”.
Un paradigma che è diventato ancora più rigido col passare degli anni, quando “quasi solo donne bianche, bionde, con evidenti protesi al seno, depilatissime e disposte a “giocare” con lui nella Playboy Mansion, dove – stando ad alcune di loro – era più facile beccarsi una malattia venerea che svoltare una carriera significativa”.
“L’equivalente cartaceo di un club per soli uomini”
“Un sacco di gente ha scritto per Playboy cose interessantissime, vero – conclude Blasi -. E le ha confinate dentro lo steccato di un giornale per soli uomini, l’equivalente cartaceo del club dove fumarsi il sigaro e fare affari mentre ragazze procaci ti girano intorno vestite da conigliette: il Playboy Club, sì, quello in cui Gloria Steinem si infiltrò per concludere proprio che la rivoluzione sessuale avrebbe fallito, se ai maschi fosse stato permesso di essere i soli a condurre il gioco”.