Andrea, Gianni e Anna sono una famiglia. Anna è nata con la gestazione per altri in California, nel 2013, a Santa Cruz.
Tre anni dopo, in un Paese che ancora non li riconosce come famiglia Andrea Simone ha scelto di affidare a un libro il resoconto del percorso verso la paternità sua e di Gianni, i ricordi dolci dei primi anni di Anna e il reciproco imparare. Così è nato un diario ricco di dettagli: “Due uomini e una culla”, uscito il 26 ottobre per Golem edizioni (pp.192, 15 euro), corredato da una sentita e accurata prefazione affidata a un’amica di lunga data: Lella Costa, attrice che non manca mai di esporsi sui temi Lgbt.
Gaypost.it li ha sentiti entrambi, per scoprire contenuti e intenzioni del diario di padre di Andrea Simone, e per conoscere meglio il pensiero di un’artista che ha scelto di firmare la prefazione non solo per affetto personale, ma anche per un motivo “politico”: l’utilità della naturalezza dei ricordi di famiglia di Andrea,
Gianni e Anna, per affrontare un tema delicato come la gestazione per altri (“spero – scrive – “che l’orribile e dolosa espressione “utero in affitto” sia stata bandita per sempre”).
Chi si oppone alla Gestazione per altri chiama in causa i diritti delle donne, evocando una nuova sorta di mistica della femminilità. Tu che delle donne sei sempre stata portavoce appassionata, cosa ne pensi?
(Lella Costa) Si tratta di un tema senza dubbio delicato e credo che, visto che si parla di vite di persone, si debbano rifuggire gli integralismi. È vero che può esistere una questione che riguarda il corpo della donna, ma all’interno della sua libertà penso ci possano essere degli spazi di relazione in cui avvengano anche questi gesti di donazione di sé.
Quando si apre il tema della mistica della femminilità, con garbo bisognerebbe ricordare che non è affatto vero che tutte le maternità “naturali” sono scelte volute, felici e libere. Questo è un portato della nostra mistica occidentale che deriva dall’avere pochi figli e trasforma la maternità in un evento mitico e sempre
solare.
Vedo che nel dibattito è problematica la questione economica: è curioso, se si pensa che l’obbligo di mantenimento fa parte del diritto di famiglia: la componente economica non è estranea nemmeno alle gestazioni naturali. Una riflessione che però evidentemente cozza con una mistica per la quale la maternità non solo è sempre scelta e voluta, ma inevitabilmente cambia chi la vive generando un legame indissolubile. Una certezza assoluta che non si può avere. Non sappiamo se è sempre così.
Il fatto che una donna possa non riuscire a pensarsi gestante per altri, o possa farlo solo in favore di persone molto care, non significa che questa debba essere la norma per tutte.
Qual è il senso di esporsi, per chi ha un ruolo pubblico, anche su un tema potenzialmente divisivo come la Gpa?
Il senso per me ultimo è sempre quello di acquisire diritti. Riservando la necessaria attenzione e delicatezza ai temi che la esigono, proviamo almeno a praticare coerentemente dei principi di libertà. Il corpo delle donne è stato ed è effettivamente martoriato, ma a solo pochi chilometri da noi le bambine sono costrette alla maternità a meno di dieci anni, e ne muoiono. Di cosa stiamo parlando? Sempre e soltanto di ciò che tocca noi.
Accusiamo poi quelle coppie omogenitoriali che, se si rivolgessero davvero a Paesi dove si possono verificare casi di sfruttamento e assenza di norme, in molti di essi non riuscirebbero a portare fuori dai confini nemmeno se stessi, visto che la loro stessa condizione li metterebbe in pericolo anche di morte.
Da madre, cosa osservi nelle famiglie composte da due padri o due madri che conosci?
Avere genitori dello stesso sesso è, naturalmente, una cosa in sé neutra. Quello che per la mia esperienza è oggettivo è che alcune famiglie omogenitoriali si sottopongono a un percorso talmente impegnativo per dare corpo a un desiderio di genitorialità, che è sostenibile soltanto se lo si desidera davvero. Un enorme investimento emotivo di cui i figli sono consapevoli in tutti i suoi aspetti positivi e negativi.
Spiega lo psicanalista Charmet che la famiglia è passata dall’essere il luogo del conflitto a delle fazioni, al luogo dell’affettività e delle mediazioni. Questo è un cambiamento realmente avvenuto e passato attraverso anche le famiglie omogenitoriali, ma riguarda tutti. Fare differenze fra figli di due madri o due padri è un atteggiamento da vulgata popolare.
Per altro, se vogliamo discutere di genitorialità surrogata, perché marginalizzare il contributo di un donatore uomo? L’orientamento e il genere, è banale dirlo, non garantiscono nulla sulla capacità di un genitore. Ed è questo a fare la differenza.
Con Andrea Simone ci siamo invece immersi tra le sue pagine:
Quello che hai scelto di fare è un diario di viaggio, piuttosto che un libro politico, perché?
(Andrea Simone) All’inizio “Due uomini e una culla” doveva essere un blog. Poi mi sono detto che io faccio il giornalista, un mestiere non poi così diverso da quello dello scrittore. E mi sono chiesto perché non farne un libro che potesse essere scritto per Anna, perché un giorno possa davvero capire qual è stata la storia della sua vita. Poi volevo un oggetto che in qualsiasi momento potessi sfogliare e rivivere quei momenti con le stesse emozioni, che se non avessi messo su carta forse col tempo si sarebbero un po’ sbiadite. Non è un libro che ha intenti politici, anche se la parte politica non manca.
Qual è il messaggio che vuoi lanciare raccontando la vostra paternità?
Non c’è un messaggio: questo libro non vuole cambiare il mondo. Io però ho una storia da raccontare e per questo mi sono esposto, ho messo in piazza il mio privato. Racconto una cronistoria molto fedele che copre quattro anni, dal novembre 2012 quando Gianni e io abbiamo deciso di avere un figlio, fino a quando Anna aveva circa due anni e mezzo, al Natale 2016.
Questo non è il primo libro sull’argomento: c’è stato Claudio Rossi Marcelli che ha fatto uno splendido lavoro con “Hello daddy” e Michele Giarratano che ha scritto “Luca ha due papà”. Io non ho voluto farmi condizionare: al contrario di Claudio Rossi Marcelli, che ha fatto iniziare il libro con la nascita della bimba, io l’ho fatta arrivare a un terzo del racconto.
Credi che gli italiani siano davvero pronti alle famiglie omogenitoriali?
Stando alla mia esperienza, in California davvero una famiglia con due padri o due madri è assoluta normalità. L’Italia secondo me ha ancora molta strada da fare. Pronta non saprei: non lo era cinque anni fa, lo è adesso un po’ più di allora, lo sarà sempre di più col tempo che passa. Anche perché le famiglie omogenitoriali sono ormai una realtà e sempre di più. A Milano, tre anni fa, siamo stati i trentaquattresimi.
Oggi secondo me solo a Milano sono almeno cento le famiglie con due papà o due mamme. In realtà poi non si può considerare l’Italia senza distinzioni: Milano da questo punto di vista è per molti versi un’isola felice, Roma è più omofoba. Sono città aperte Torino, il triveneto, lo è ancora di più Genova, per non parlare di Bologna, lo è abbastanza anche Napoli. Ci sono poi le realtà di provincia, in cui il clima è invece molto diverso. Per quanto ci riguarda non siamo mai stati discriminati, ma siamo consapevoli che vivere in centro a Milano ci pone all’interno di un contesto socio-culturale molto aperto.
Le famiglie sono state importanti, sia la vostra che quella acquisita di Famiglie Arcobaleno?
Mia sorella è entusiasta, anche se all’inizio si era stupita. Il fratello di Gianni è innamoratissimo della nipotina, e la bambina gli ha secondo me restituito parecchi anni di vita. Le Famiglie Arcobaleno a noi sono servite come scambio di informazioni, confronto. Noi abbiamo aderito al gruppo dei papà arcobaleno, che ci sono stati molto utili. Abbiamo deciso che ci serviva parlare con chi aveva già figli, non solo per farci dare delle dritte pratiche, ma anche per avere un confronto diretto. A nostra volta abbiamo finito col diventare un esempio per amici che hanno fatto il nostro percorso un anno e mezzo dopo.
Qual è stato lo spirito e le intenzioni con cui le donne con cui vi siete rapportati voi, hanno scelto di aiutarvi a diventare padri?
La nostra donatrice ha chiesto di rimanere anonima. I contatti sono stati quasi inesistenti per sua scelta ed espressa decisione. La prima donatrice, come racconto nel libro, non se l’è sentita dopo breve tempo, e abbiamo dovuto ricominciare. La seconda ha chiarito che, una volta cresciuta, lei non intendeva conoscere Anna.
Con la nostra portatrice, Christie, siamo in ottimi rapporti: ci sentiamo ogni paio di settimane, e ha detto che per noi sarebbe disposta a rifarlo.
Quando Anna sarà abbastanza grande da poterlo capire, a sei o sette anni, vorremmo portarla negli Stati Uniti, mostrarle i luoghi in cui è nata e farle finalmente conoscere Christie, perché io voglio che un domani lei possa fare parte della sua vita.
Christie poi ci ha dato affidamento proprio perché non si possono trovare motivi economici nella sua scelta. Ci ha detto: “Ho avuto un figlio, so che ci sono tante persone che vogliono dei figli, e io so di poterli aiutare”. Inoltre è una donna che viaggia molto, faceva un lavoro da capo dell’ufficio di segreteria e guadagnava circa ottantamila dollari l’anno, non aveva bisogno di fare la portatrice per denaro.