Picchiati, offesi, umiliati e sottoposti a dolorose ispezioni anali. È questo quello che succede ai ragazzi tunisini che vengono arrestati con l’accusa di “sodomia” prevista dal codice penale e per la quale si rischia fino a tre anni di detenzione.
A dicembre scorso, sei giovani sono stati arrestati con questa accusa, com’è successo qualche giorno fa ad altri otto ragazzi a supporto dei quali è partito un mail bombing dall’Italia. Human Rights Watch ha incontrato alcuni di quei ragazzi ed ha raccolto le loro impressionanti testimonianze.
Jamel, uno di questi studenti, ha dichiarato: “Hanno iniziato a dire che siamo gay e noi abbiamo negato e detto che non usavamo pratiche gay. Hanno iniziato a colpirci, prenderci a calci e schiaffeggiarci tutti insieme”. Poi è stato chiesto loro di abbassare i pantaloni e i boxer per vedere se il pube era rasato.
Ancora, gli studenti sono stati portati in ospedale dove un medico li aspettava per un’ispezione anale.
Amar ha raccontato di essersi inizialmente rifiutato di sottoporsi all’esame che il medico aveva definito “un esame come quello per le donne”, cioè di verginità, e che per questo è stato portato in cortile e picchiato. “Il medico non ha visto – ha raccontato Amar a HRW – ma sapeva cosa stava succedendo”. In questo modo, è stato costretto a firmare una dichiarazione falsa in cui sosteneva di accettare l’ispezione e, quindi, a sottoporvisi.
“Il medico mi ha detto di salire su un tavolo per l’esame e mi ha detto: ‘Mettiti come se stessi pregando’ (cioè come pregano solitamente i musulmani, ndr). Mi ha infilato un dito nell’ano, con una pomata sopra, ed ha cominciato a cercare. Mentre lo faceva mi ha chiesto: ‘Stai bene, ora’? E io ho risposto: ‘No, non sto bene’. Era doloroso. Poi ha infilato un tubo per vedere se c’era sperma. Ha spinto il tubo molto dentro, circa per la lunghezza di un dito: ho sentito dolore”.
“Mi sono sentito come un animale – ha continuato Amar -, perché mi sentivo non rispettato. Sentivo che mi stavano violando e lo sento ancora. È molto difficile per me”.
Kais, un altro degli studenti arrestati e sottposti all’ispezione anale, ha raccontato di aver sentito le urla di Amar mentre lo picchiavano e per evitare le percosse, si è piegato alle richieste della polizia e del medico sottoponendosi subito all’esame. “Il dottore mi disse: ‘Se non firmi, scriverò che hai praticato la sodomia’” ha continuato Kais. Tutti hanno raccontato di avere subito lo stesso esame con un tubo del diametro di una penna utilizzato per raccogliere campioni nel retto.
HRW è entrata in possesso del rapporto del medico che ha scritto: “Ci sono segni di omosessualità passiva abituale con penetrazione anale. Ci sono cegni che indicano che la persona ha di recente, negli ultimi giorni, avuto penetrazioni anali con qualcosa di solido come un pene maschile in erezione“.
Ma le violenze non sono finite lì. I sei studenti sono stati condannati a tre anni di prigione più altri tre di eslio dalla città di Kairouan. Dal momento in cui sono entrati in prigione, sono ricominciate le violenze. “Hanno cominciato a picchiarci, ci hanno allineati contro il muro e rasati. Non facevano questo agli altri detenuti – hanno raccontato i ragazzi a HRW -. Ci hanno messi con la faccia al muro e un poliziotto ha cominciato a prenderci a calci. Uno di noi ha ocminciato a sanguinare dal naso per lo stress, ma hanno continuato a raderlo”.
I pestaggi e le umiliazioni sono andate avanti per i primi 15 giorni, ogni giorno. Il 3 marzo, la Corte d’Appello di Sousse ha ridotto la pena a un mese, già scontata da tutti gli studenti. Per loro, però, l’inferno è continuato fuori: costretti a lasciare l’università, sono stati cacciati dalle famiglie. Tutti subiscono ancora le conseguenze psicologiche di ciò che hanno subito in carcere e in ospedale. Amar ha tentato di suicidarsi due volte mentre era ancora detenuto.
HRW ha chiesto al governo tunisino di condannare gli abusi sui detenuti e vietare alla polizia di adottare atteggiamenti e trattamenti discriminatori.
Come già detto all’inizio in questo momento sono otto i giovani accusati di sodomia e detenuti in un carcere tunisino. Il movimento lgbt italiano si è mobilitato compatto per chiedere la loro liberazione ed ha lanciato un mail bombing (ovvero l’invio massiccio di email alle istituzioni competenti). Qui potete trovare tutti i dettagli per aderire all’iniiativa.