Ha fatto scalpore il malessere, l’ennesimo, espresso da certi settori del “femminismo della differenza” che si sono lamentati della nomina di Lily Madigan come funzionario femminile delle donne laburiste, nel Regno Unito. Parallelamente, stavolta nel mondo Lgbt, si sta avviando – in modo non ancora ufficiale, a dire il vero – un dibattito sul queer, dalle modalità escludenti (qualora non offensive). Due fatti che, apparentemente separati tra loro, possono essere ricollegati in quello che io chiamerei come il lato oscuro dell’arcobaleno. Ma andiamo per ordine.
La colpa di essere donna e trans
La colpa di Lily Madigan è di essere una donna trans e quindi non abbastanza “donna”. E quindi non rappresentativa dell’universo femminile, quello “vero”. Per certe femministe – che io affettuosamente etichetto come “abitatrici di caverne” et similia, vista la raffinatezza del pensiero – una persona trans è vincolata al proprio destino genetico. Più volgarmente, se hai i cromosomi XY non basteranno tutti gli interventi di rassegnazione chirurgica del sesso: sei e rimarrai inequivocabilmente maschio. E pazienza se questa attribuzione è vissuta come violenza – verbale, ma non solo – da parte del mondo trans. Se poi leggiamo il tenore di certi commenti, capiamo perché l’attribuzione di quel “femminismo” al concetto di caverna – o, se preferite, di clava – è qualcosa di più della semplice ironia. E se mettiamo che tutto questo è avvenuto nel giorno del Tdor, abbiamo davvero fatto bingo.
La critica al queer
Riguardo al dibattito sul queer, già menzionato, va ricordato che i più strenui oppositori di questo pensiero lo bollano (scusate la semplificazione estrema) come “boiata” iperidentitaria. Tornerò sul concetto. Premetto sin d’ora che per i critici, funziona grosso modo così: attraverso un infinito frazionamento in identità specifiche – che si trasformano in lettere da appiccicare alla già angusta sigla Lgbti – si arriverebbe alla frantumazione del nostro essere. Del nostro essere qualcosa. Se puoi essere qualsiasi cosa, è questa la critica, poi alla fine non sarai nulla. E pazienza che questo approccio alla questione ricalchi la sfera argomentativa di chi attacca il “gender”, accusandolo delle stesse nefandezze: attaccare la normalità, per portare confusione prima e distruzione poi.
Quando la diversità istituzionalizza se stessa
In virtù di questo processo di frantumazione, i queer non sarebbero rappresentativi – anzi, andrebbero esclusi – dal consesso della comunità Lgbt. Quest’ultima, si legge ancora, invece dovrebbe occuparsi prevalentemente di fatti concreti, quali il matrimonio egualitario o la legge contro l’omofobia. Ed anche qui possiamo notare quella volontà escludente da parte di chi ha “istituzionalizzato” la propria condizione. Esisterebbe, quindi, un solo modo di essere donna, per alcune attiviste (o presunte tali) e ciò esclude le donne non “biologiche”. Esisterebbe, poi, un solo modo di appartenere alla comunità arcobaleno: quello di chi non mette in discussione una rappresentazione delle identità sessuali in chiave esclusivamente binaria. Si è definita una nuova “normalità” e chi la rifugge non ha diritto di rappresentazione (oltre che di rappresentanza).
La demonizzazione del diverso
Il meccanismo messo in atto in questa narrazione è il seguente: c’è un’identità buona (perché originale) messa in discussione da identità meno buone (perché esterne o non convenzionali). Donne cisgender VS donne trans, Lgbt “the original” VS queer e non binari. Procedimento che però, se estendiamo il discorso oltre il mondo arcobaleno, è lo stesso di chi vuole che l’Italia vada prima agli italiani, di chi condivide foto di profilo su Facebook in cui campeggia uno splendido “no ius soli”, di chi vuole la famiglia come esclusiva della normalità etero. C’è un “modo di essere” standard legato ad origini specifiche – quali il sesso alla nascita, la nazionalità, l’orientamento sessuale, ecc – e un agente esterno che vuole metterlo in discussione: per distruggerlo, ça va sans dire.
La critica di iper-identitarismo
Un ulteriore elemento critico di tale questione è accusare l'”agente esterno” di essere fortemente identitario e, in virtù di questo, di voler far fuori le identità originali. Le donne trans che “occupano” gli spazi delle donne vere – in virtù del loro essere trans e cioè “ex maschi”, e quindi maschi per certo femminismo – vogliono eliminare le donne. I queer, con il loro pensiero, vogliono annullare l’identità (politica e culturale) gay. La reazione delle voci critiche (antiqueer, paleofemministe, ecc), però, è quella di arroccarsi dentro il proprio “modo di essere” e quindi di peccare di identitarismo a loro volta. Il bue che dice cornuto all’asino, insomma. E i colori dell’arcobaleno, per esaltare se stessi, si incupiscono. Fino a degradare verso il buio.
Perché tutto questo?
Si assiste, in altri termini, ad un’involuzione dentro settori del femminismo e del mondo Lgbt: un tempo tali realtà si collocavano come anti-sistema mentre oggi invece sembrano andare in direzione di una nuova normalizzazione. Normalizzazione che per concretizzarsi deve trovare un diverso da escludere rispetto al proprio concetto di norma. Un adeguamento, insomma, al modello di partenza che si diceva di voler combattere e che si finisce per imitare. Quali sono le ragioni? Sarebbe utile indagare a fondo anche se la risposta che posso dare, ad una lettura di superficie, è quella del conflitto generazionale. La vecchia guardia vede il suo mondo sgretolarsi e sgomita per non fare posto al nuovo che si sta creando.
L’inadeguatezza del vecchio paradigma
Viviamo in un periodo di profonda transizione in cui le identità, tutte, stanno subendo una profonda ridefinizione di se stesse. Il mondo come lo si conosceva ha perso le certezze di un tempo, da quella ideologica – con la caduta del bipolarismo basato sulla contrapposizione tra occidente capitalistico e modello sovietico – a quella economica (da quanto tempo sentiamo la parola “crisi” gravare nel nostro quotidiano?). In questo sistema complesso di trasformazione sociale, per quanto concerne il discorso sulle identità sessuali, le vecchie rappresentazioni non sono del tutto adeguate per identificare storie e percorsi che fanno fatica a inserirsi nel binarismo di genere, nelle sessualità normative e – più in generale – nel panorama eterosessista.
Un caso di evoluzione sociale
Ci troviamo immersi in un caos nel quale si consuma l’evoluzione sociale, in parole più povere. Il conflitto generazionale si sta consumando su questioni quali Gpa, identità fluide, identità trans-, gestione del corpo, ecc. Sono temi, questi, con cui dovremo confrontarci, da qui ai prossimi anni e soprattutto dentro la nostra comunità. Quali pieghe prenderà il dibattito non è possibile ipotizzarlo con certezza, ma sembra che stia emergendo una dicotomia tra posizioni possibiliste (e progressiste) e altre di tipo conservatore (e quindi reazionarie). Al di là di ciò che accadrà, dovremmo sempre ricordare che siamo chiamati/e – come popolo e movimento arcobaleno – a una lotta di liberazione di noi stessi/e. Di ciò che si è nel profondo. Senza aver paura dell’alterità. Paura che è indice di identità deboli, a ben vedere. Forse perché inadeguate a raccogliere le sfide a venire.