Uno stato dell’Unione Europea non può impedire il ricongiungimento familiare di una coppia dello stesso sesso che si è sposata altrove, anche se sul proprio territorio il matrimonio egualitario non è permesso. In sostanza, se un omosessuale polacco sposa in Francia un cittadino marocchino, la Polonia non può impedire alla coppia di ricongiungersi sul proprio territorio. Questo non significa che lo stato in questione debba legalizzare il matrimonio egualitario, ma deve riconoscere ai propri cittadini la libertà di soggiorno garantendo il ricongiungimento familiare con i coniugi.
Nessun obbligo di riconoscere il matrimonio
E’ il parere espresso dall’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Ue, Melchior Wathelet e di cui la Corte stessa potrà tenere conto quando sarà chiamata ad esprimersi su un caso del genere.
Com’è noto, il matrimonio è una materia che i singoli stati dell’Ue sono liberi di disciplinare come credono, ma questa interpretazione del principio di libertà di circolazione e di soggiorno, riconosciuti da tutti gli stati membri, va nella direzione di una tutela maggiore nei confronti delle coppie di persone dello stesso sesso sposate.
Non si può ostacolare il diritto di soggiorno
Secondo quanto riporta La Stampa, l’avvocato Wathelet ha spiegato che i paesi che non riconoscono il matrimonio egualitario “non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di uno Stato non Ue, un diritto di soggiorno”.
“Coniuge” non è relativo all’orientamento sessuale
Le regole sulla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione Europea sono condivise da tutti gli stati membri e quindi tutti devono rispettarle, anche in riguardo alle coppie dello stesso sesso sposate. L’avvocato sottolinea anche che il concetto di “coniuge” non ha un’interpretazione specifica rispetto all’orientamento sessuale. L’opinione di Wathelet è che anche una politica che punti alla tutela della cosiddetta famiglia tradizionale non può giustificare una discriminazione nei confronti delle persone omosessuali sposate.