È la democrazia, bellezza: queste elezioni possiamo archiviarle così, non senza un profondo senso di angoscia che le urne ci lasciano addosso. Ma dobbiamo ammetterlo: in un sistema democratico vince chi convince. Evidentemente, gli argomenti di Lega (orridi, per quel che mi riguarda) e M5S (in parte anche fondati, ma narrati male e proposti peggio) hanno convinto di più. Adesso toccherà a loro governare, per logica conseguenza. Nell’attesa di assistere ai miracoli promessi da Salvini e Di Maio – se mai arriveranno – commetteremmo atto di scortesia verso l’onestà intellettuale a non considerare ingenuità ed errori commessi dal centro-sinistra, tali da condannarlo all’irrilevanza. Ho provato perciò a selezionarne alcuni, mettendoli in ordine alfabetico.
A come “arroganza”
Aver creduto, cioè, di essere il meglio in circolazione e insultando il proprio elettorato di riferimento quando si ponevano critiche (per altro legittime) al caro leader. A leggere i social-network ancora adesso molti renziani, anche Lgbt, insultano chi ha fatto mancare il proprio voto al Pd. Non comprendendo o fingendo di non capire che il voto è un atto di fiducia che si conquista, non un qualcosa che si acquista con i bonus, le mancette e i diritti a metà. Lo stesso discorso di Renzi, pronunciato poco fa al Nazareno, non abbandona questa pretesa di superiorità.
B come “buona scuola”
Forse una delle riforme più odiate del governo Renzi. Riporto le parole di Monica Cirinnà, che sul suo profilo Facebook scrive: «La buona scuola ha una storia paradossale, abbiamo stabilizzato oltre 100.000 precari, eppure è una delle riforme più invise a studenti, professori, presidi e sindacati, con i quali nessuno ha dialogato». Aggiungo solo: sotto l’esecutivo dell’ex sindaco di Firenze, il termine “professore” (con accrescitivo) è stato usato come un insulto.
C come “ciaone”
Ricordate il referendum sulle trivelle? Una buona parte del popolo della sinistra non le voleva. Il Pd renziano sì. Si lavorò per far mancare il quorum e quando ciò avvenne un certo Carbone commentò così: ciaone. Insultando chi, anche tra i potenziali elettori del suo partito, aveva creduto in quel progetto. Nel referendum successivo – quello del 4 dicembre 2016 – i toni nei confronti di chi votava in modo difforme non furono diversi. Fu allora arrivò la prima sventola, con un 60 a 40 che doveva suggerire qualcosa. Ma l’arroganza (vedi prima voce di questo elenco) impedì di fare i dovuti mea culpa. Adesso il “ciaone” è arrivato dall’elettore deluso. Che vota destra o M5S.
D come “dogmi (della sinistra)”
Sembra che la sinistra – e qui la critica va a quella radicale – sia diventata una scusa per tenere in piedi riti e linguaggi di un tempo lontanissimo, approccio ideale per un voto di testimonianza ma poco utile per il governo del Paese. Abbiamo una serie di dogmi che andrebbero spazzati via. Che non significa rinnegare gli ideali, ma agganciarli al presente. Registro ancora oggi molte resistenze a questioni quali il “merito” nel lavoro. Eppure la gente lavora meglio se sa di poter avere di più. E no, non è un vessillo della destra. Così come non dovrebbe esserlo l’idea di licenziare chi non lavora (trovo ancora molte resistenze tra amici molto più rossi di me). I cinque stelle hanno mai scomodato la “lotta di classe” nei loro discorsi? Parlano di bisogni concreti. Ripartiamo da quelli, magari citando meno Marx. Che di Fusaro ne basta uno.
E come “esclusioni”
Sappiamo benissimo come sono state decise le candidature e ne abbiamo ampiamente parlato. Come comunità Lgbt ci ha fatto particolarmente male l’ennesima pattuglia “Lgbt” (in verità solo gay, ma tant’è!) calata dall’alto e l’esclusione di quelle voci interne al movimento arcobaleno, solo perché non abbastanza fedeli al caro leader: il caso di Sergio Lo Giudice fa ancora rumore. Queste ed altre esclusioni, ci chiediamo, non avranno avuto l’effetto di aumentare il solco tra base e vertice del partito? Questione aperta. Con ferita sanguinante.
F come “fascismo”
Parola chiave di queste elezioni: una delle ragioni per cui bisognava votare Pd era quella di arginare la marea nera. Il pericolo fascista proveniente da Forza Nuova, Casapound et similia. Ma poi, guardando gli atti concreti, come si sono comportati i leader di centro-sinistra? Se Renzi ha espresso solidarietà al militante di FN aggredito a Palermo, Bonino si è dichiarata contraria a sciogliere i partiti fascisti. Atteggiamento un po’ dissociato, a ben vedere, che avrà scoraggiato quella parte di elettorato – magari proprio i delusi del Pd che potevano confluire in +Europa – per cui l’antifascismo è ancora un valore fondamentale.
G come “giovani”
I dati sull’impiego includevano un’occupazione che conteggiava anche poche ore di lavoro al mese. La disoccupazione giovanile resta, però, un problema attuale e proprio il mondo dei più giovani – che sembra aver votato in massa il M5S – non ha percepito margini di miglioramento. In compenso, altrove, qualche giovane si dichiarava grato a Renzi per averlo mandato al concerto di Laura Pausini.
H come “hashtag”
Ricordate “Enrico stai sereno”? Divenne un hashtag poi divenuto esempio di pugnalata alle spalle. Il tutto via web, con un uso dei social network gestiti in modo un po’ troppo disinvolto. Va benissimo, per carità, usare anche i nuovi media, ma magari in modo un po’ più accorto. Con meno slogan e più contenuti, magari.
I come “identità tradita”
Vi racconto una storia: quando lavoravo per la scuola pubblica, sindacalisti vicini al Pd e colleghi di quell’area lì ci invitavano a scioperare per cose come la chiamata diretta dei presidi. Poi il Pd va al governo e fanno una riforma scolastica per cui è prevista la chiamata diretta dei presidi. Scusate se poi ci si sente un po’ presi per il culo. Stessa cosa dicasi di quegli idranti lanciati sugli immigrati a Termini, qualche mese fa. O le cariche contro gli operai. Cose che magari ti aspetti da Salvini. E invece…
L come “leader (sbagliati)”
Amici di sinistra, diciamocela tutta e fuori dai denti: Grasso non funzionava affatto. Appena apriva bocca, le nostre coscienze venivano immediatamente avvolte da un torpore forse utile a placare l’insonnia per l’esito elettorale, ma non certo per vincere le elezioni. E infatti più che “Liberi e uguali” sembriamo ugualmente liberi da responsabilità di governo. E a proposito di leader da dismettere: D’Alema, via. Bersani, idem. I dinosauri rossi vanno assicurati a una dignitosa pensione. Non è Renzi l’unico che deve pagare, abbandonando politica, dirigenza e segreteria.
M come “Marino”
E qui faccio una sola domanda: che fiducia può avere l’elettore o l’elettrice standard del centro-sinistra che vede il proprio sindaco, democraticamente eletto, che viene fatto fuori solo perché non piace al capo?
N come “No (al referendum)”
La storia del referendum del 4 dicembre doveva insegnare tanto alla classe dirigente del Pd. Se personalizzi una competizione così importante per il futuro della nazione – con una riforma che doveva essere epocale e che di epocale ha definito i contorni di una bruciante sconfitta – dicendo di andartene e poi non lo fai, perdi in credibilità. Boschi e Renzi, invece, siederanno in parlamento.
O come “omofobia”
Ricordiamo tutti e tutte la legge Scalfarotto, vero? Anche lì, quando le associazioni Lgbt fecero notare che era un provvedimento che non rispondeva alle esigenze della comunità, vennero tacciate di irrilevanza. L’emendamento Gitti-Verini risultò particolarmente indigesto, eppure venne fatto passare insieme a tutto il pacchetto, mai approvato per altro. A questo si aggiungano le varie perle che questo o quell’esponente, locale o nazionale, ha regalato al popolo arcobaleno: dal caso di Carla Padovani e del video con la coppia gay, a Emma Fattorini e alla sua lotta senza quartiere contro le stepchild adoption.
P come “partito di Renzi”
Per citare Sergio Lo Giudice: «Culto della rottamazione del passato, rapporto plebiscitario fra il leader e la massa, negazione della funzione dei corpi sociali intermedi (sindacati, categorie, lo stesso partito) […] sono gli ingredienti che hanno prodotto il fuoco di paglia del 40% alle europee del 2014 ed oggi il crollo al 19%». Tutto ciò, insieme ad «una politica delle alleanze sbagliata e una composizione proprietaria delle liste» ha reso «il Pd, un partito per sua natura plurale ed inclusivo» nel «Partito di Renzi, una proposta sonoramente rifiutata dagli elettori». I numeri parlano chiaro.
Q come “quartieri (e periferie)”
Perché se Casapound fa la spesa alle signore nei quartieri difficili e il Pd si chiude nei palazzi di potere, legando il suo nome a qualche banca e a qualche scandalo annesso, poi non deve stupire se il voto popolare va altrove. Ai Parioli invece il Pd sembra tenere. Chissà perché.
R come “rottamazione”
Processo portato avanti con una certa violenza verbale. La stessa che utilizzava parole come “asfaltare” per indicare la sconfitta dell’avversario, la sua riduzione a “gufo” o “rosicone” e amenità similari. Poco elegante e non solo. Anche perché poi le parole si ritorcono contro e il rottamatore, si sente già dire, è stato rottamato. Dalle urne.
S come “scissione”
Male antico della sinistra. Ma a divorziare, ricordiamolo, si è sempre in due. Come quando alla Leopolda si gridava “fuori” all’indirizzo della minoranza. Che poi se ne è andata davvero. Autodistruggendosi, siamo d’accordo. Ma a rimetterci siamo tutti e tutte.
T come “tattica”
È già stato accennato più su, ma giova ripeterlo: essersi inimicato il proprio elettorato di base (insegnanti, sindacato, operai/e, ecc) non sembra essere stata una scelta vincente. Anzi.
U come “unioni civili”
Una legge importante, ma fatta male. Perché ha fatto vincere le fazioni più retrive interne al Pd e allo stesso governo che era espressione del partito di maggioranza. Ricordiamo gli insulti di Alfano al momento dell’approvazione della legge, per cui si era impedita una rivoluzione contro natura. Perché Renzi non ha usato il suo solito pugno di ferro per mettere a tacere le voci dei cattodem? Ciò ha allontanato una fetta molto ampia del voto Lgbt.
V come “voto utile”
Solita solfa che non ha incantato nessuno. Non è criticando l’elettorato di sinistra – e rendendolo complice di Salvini e della “marea nera” – che ottieni più voti, utili alla vittoria. Mito ormai ventennale che ha avuto l’unico effetto di dare per scontato il voto “rosso”, facendo spostare il partito di maggioranza su posizioni sempre più conservatrici. E alla fotocopia della destra, si preferisce sempre l’originale. Dovremmo averlo imparato.
Z come “zero” (ripartire da)
La sonora sconfitta del 4 marzo dovrebbe indurre tutti e tutte a prendersi una doverosa pausa di riflessione e cercare di capire da dove ricominciare. Azzerando, appunto, cariche e rimuovendo personaggi che hanno fatto la storia della sinistra: distruggendola. Vale per Liberi e Uguali e vale anche per il Pd. Anche se il discorso di Renzi al Nazareno non lascia sperare in un sostanziale cambiamento in tale direzione. La colpa è ancora degli altri. E se invece da ripartire da zero si vuole arrivare allo zero, complimenti: il percorso sembra appena avviato.