Il carcere di Gorizia ha aperto una sezione riservata ai detenuti omosessuali, per volontà del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto. Al momento, nella sezione, sono detenute due persone persone, dopo che una terza ha ottenuto gli arresti domiciliari lo scorso gennaio. Per mancanza di organico e carenze strutturali, però, i detenuti gay non possono usufruire di alcuni servizi. Innanzitutto, manca la sala colloqui, ma soprattutto i due sono costretti a rimanere sempre in cella e non possono partecipare alle attività ricreative, scolastiche, lavorative e culturali a cui partecipano tutti gli altri detenuti. Il caso non è passato inosservato ed è diventato oggetto di una interrogazione al ministro della Giustizia Orlando presentata in Senato da Sergio Lo Giudice e Carlo Pegorer, entrambi del Pd.
L’interrogazione chiede ad Orlando se non ritiene “di adottare delle nuove linee guida per il trattamento dei detenuti omosessuali e transessuali anche attraverso la collaborazione delle associazioni”. “Apprezziamo gli atti che hanno portato a una riduzione del sovraffollamento – spiegano i due senatori – e lo sforzo di analisi degli Stati generali dell’esecuzione penale che ormai volgono al termine e confidiamo che questa vicenda sia di spunto per arricchire l’agenda dei provvedimenti volti a umanizzare i nostri istituti di pena”. Specificano, però, che non sono convinti che questo tipo di “smistamento” dei detenuti sia una risposta adeguata al problema del sovraffollamento delle carceri.
Già nei giorni scorsi sulla vicenda si era pronunciata anche Arcigay. Per il segretario nazionale dell’associazione Gabriele Piazzoni, si tratta di “una decisione da non banalizzare, che merita una discussione nel merito che tenga conto del contesto”.
“L’obiettivo che il provveditore mette in chiaro – specifica Piazzoni – è quello della tutela delle persone omosessuali recluse nella struttura. Infatti, apprendiamo dalle cronache che proprio i detenuti hanno fatto richiesta in questo senso. D’altro canto è comprensibile l’allarme di chi intravede in questo provvedimento il rischio di una segregazione, perciò in qualche modo lesiva delle persone a cui è rivolta e con il rischio di isolamento dei detenuti omosessuali”. Secondo Piazzoni, quindi, “occorre che la separazione fisica degli spazi sia solo una delle azioni messe in campo, cioè che sia uno strumento nell’ambito di un complesso di azioni di tutela e inclusione e non un obiettivo o ancor peggio il rimedio a un’emergenza”.
Il segretario di Arcigay sottolinea comunque l’attenzione che il provveditore ha voluto porre alla questione dell’incolumità dei detenuti gay, ma si augura “che a questa attenzione corrispondano iniziative di formazione e di contrasto alle discriminazioni, fondamentali in tutti i luoghi della vita pubblica, incluso il carcere”. “Apriremo su questo una interlocuzione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia – conclude – , che per primo deve porsi il tema della formazione degli agenti di polizia penitenziaria per affrontare e prevenire situazioni a rischio e mettere in campo azioni educative fra i detenuti di contrasto alle discriminazioni”.