Pd e diritti civili? Facciamo un po’ di ripasso. «L’omosessualità è una devianza della personalità» sentenziava nel 2007 a Tetris su La7, Paola Binetti. Per l’allora senatrice teodem – poi trasmigrata nell’Udc – chi è gay presenta «un comportamento molto diverso dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriologico». E un anno dopo, parlando dell’esclusione dei gay al sacerdozio, rincarava così: «Tendenze omosessuali fortemente radicate presuppongono la presenza di un istinto che può risultare incontrollabile. Ecco: da qui scaturisce il rischio pedofilia».
Quando i bambini dovevano crescere in Africa…
Non è stata l’unica, dentro il Partito democratico, ad avere posizioni che potremmo affettuosamente bollare come bislacche – se non fossero ai limiti della criminalità argomentativa – sull’omosessualità: «Il desiderio di paternità o di maternità gli omosessuali se lo scordano». Meglio che un bimbo cresca in Africa che con una coppia omosessuale. A parlare era Rosy Bindi, elemento di punta del partito per anni. Il rischio, per il bambino, era quello di venir su come un disadattato. E anche sul matrimonio, la pasionaria cattolica, aveva idee chiarissime: «Due omosessuali non possono sposarsi: non lo dice solo la Bibbia, ma l’intera civiltà giuridica».
Tutti i no dei teo e dei cattodem
Ripercorrendone la storia, troviamo molte dichiarazioni del genere riguardo i diritti civili e/o i temi ritenuti eticamente sensibili: dalla legge 194 al fine vita, passando per gestazione per altri, matrimonio egualitario, omogenitorialità e tutto il corredo di temi e diritti che fanno di una nazione un paese migliore. Per le milizie cattoliche interne al partito – ieri i teodem, di rutelliana memoria, oggi i cattodem che non sono dispiaciuti a Bersani e allo stesso Renzi – tutte quelle questioni si risolvono con la più semplice delle parole possibili: NO. No ai diritti delle donne, no ai diritti delle persone Lgbt, no ai diritti delle persone in fase terminale.
Tra diritto e regime degli ayatollah
L’ultima, in ordine di apparizione, è Carla Padovani. Com’è noto, la capogruppo del Pd a Verona, città ad amministrazione leghista, ha votato la mozione della maggioranza contro l’interruzione volontaria di gravidanza, diritto sancito per legge e che manda a dire al sistema patriarcale una cosa fondamentale: una donna può decidere liberamente sul proprio corpo. Poi c’è il regime degli ayatollah. Verona, l’altro ieri, si è schierata contro la libertà individuale. L’esponente dem ha votato contro le donne insieme alla Lega e agli estremisti cattolici della sua città.
“Sull’aborto il Pd non ha una linea chiara”
Non sono mancate le reazioni da parte dei big del partito, è vero: da Andrea Orlando a Monica Cirinnà, che sostiene che il partito deve essere coerentemente di sinistra. Lei, Carla Padovani, però non ci sta: «Non mi pare che sul tema il Pd abbia una linea chiara» rilancia la capogruppo veronese. Che ricorda: «il codice etico del partito all’articolo 2 parla di libertà di coscienza. L’ho applicato, su un tema universale come la vita». Un film ampiamente già visto, quello della libertà di coscienza. Come ai tempi delle stepchild adoption, quando Renzi diede carta bianca ai cattodem sull’omogenitorialità.
Quando si volevano mandare i padri gay in galera
A tal proposito, ricordiamo ancora con grande affetto l’emendamento proposto da Gianpiero Dalla Zuanna, sull’«estensione della punibilità delle pratiche di maternità surrogata se realizzate all’estero da cittadini italiani». Secondo le intenzioni del senatore, sempre cattodem, due genitori gay con prole avrebbero avuto l’obbligo di dichiarare di non aver usufruito della gestazione per altri, documenti alla mano. In assenza di una documentazione, tutto sarebbe passato ai tribunali: i padri gay sarebbero finiti in prigione e il bambino sarebbe andato in adozione ad altri. Non si capisce perché non siano stati nominati, dentro l’emendamento, il filo spinato ad alta tensione e le torrette di guardia.
Il fanatismo religioso come ingrediente politico
Insomma, cari amici dem, mi dite che Carla Padovani non può più stare nel partito. Un soggetto coerentemente di sinistra, mi dite, non può permettersi certe posizioni su aborto et similia. Sono d’accordo al 100%. Ma come la mettiamo con Emma Fattorini, Stefano Lepri e il resto della paccottiglia cattolica? Perché una cosa sembra poco chiara, in mezzo alla giusta indignazione che ne consegue: la mozione di Verona non è un incidente casuale. È il punto di arrivo di una scelta politica precisa: aver fatto del fanatismo religioso un valore fondante e non quella “posizione da medioevo” che ora in tanti condannano. Certo, meglio tardi che mai, siamo d’accordo. E di certo, è un segnale importante la recente sfiducia dei consiglieri veronesi alla capogruppo. Ma, appunto, come la mettiamo con tutti gli altri che ci sono ancora dentro? Si spera di essere stupiti.