Forse in pochi sanno che il vero nome di Barbie, la bambola forse più famosa del mondo, è Barbara Robert Millicent. Molti di più, invece, sapranno che quest’anno ricorre il suo sessantesimo compleanno. Cosa che non è sfuggita a Erica Donzella, editor e scrittrice, che ha deciso di omaggiare la creazione della Mattel con il suo ultimo libro Buon compleanno Barbie, (Villaggio Maori Edizioni, 2019, 14 €). Romanzo breve, ma dal corposo portato sentimentale, l’ultima opera dell’autrice concentra e mette a confronto passioni, speranze, delusioni e una certa malinconia interiore.
Due bambole a confronto
Espediente narrativo per testare questo “male di vivere” è il confronto diretto tra due figure femminili: la protagonista e Sarah Jackson, giornalista d’assalto che attraverso un’intervista alla bambola, per il suo compleanno, vuol segnare il colpo della sua vita. C’è forse una frase che sintetizza al massimo la poetica dell’opera ed è quella in cui Donzella afferma: «Sarah Jackson si arrestò in una fredda posa plastica. Barbara Robert Millicent si chiese chi fosse la bambola tra le due. La sola differenza tra le due donne era la sostanza della loro esistenza. Plastica e carne». È questa il messaggio, che arriva diretto a chi legge: cosa succede quando, inseguendo il sogno di una vita, alla fine ci si trova di fronte a se stessi?
Dal sogno all’illusione
L’intervista tra Sarah e Barbie procede per i vari angoli della casa, vero e proprio omaggio all’universo della Mattel: dal salotto al bagno, passando per la cucina. Eppure, quella che dovrebbe essere una semplice narrazione di come vive l’eroina di plastica diviene un cupo viaggio interiore. Trovandosi di fronte a se stessa – e che choc scoprire che la tua immagine riflessa altro non è che una riproduzione seriale! – la giornalista comincia a interrogarsi sulla sua esistenza. Su quanto essa sia artificiale, su quanto possano essere programmate e riprodotte intere vite. I sogni diventano illusioni e ciò che è attraversato da “carne e sangue”, come si legge in un’altra pagina, non è poi molto diverso da un pezzo di plastica. Era forse questo il sogno di Sarah?
Il vuoto che alberga in noi
Attraverso questo inquietante interrogativo, la storia narrata da Erica Donzella diviene un crescendo continuo. Un crescendo in cui compare l’immancabile Ken, in cui si parla male delle sorelle della protagonista, in cui si rimescolano desideri e identità sessuali, in cui si comprende che ciò che è cristallizzato dietro un sorriso altro non è che sineddoche di un’angoscia profonda. La finzione in cui sono intrappolati tutti i protagonisti è destinata a rompersi e ci obbliga a guardarci in faccia. E ad ammettere, infine, il vuoto che alberga in noi. Esattamente come fa Sarah, quando realizza tutta la sua inadeguatezza.
Una scrittura brillante, verso il riscatto
Se il contenuto è cupo – ma Donzella ha la grande abilità di accompagnare lettori e lettrici in un precipizio ovattato, tenendolo per mano senza lasciarli smarrire – lo stesso non si può dire della qualità della scrittura: sapida, brillante, strappa più di un sorriso e regala veri e propri momenti comici che culminano con l’arrivo di un improbabile personaggio (ma lasciamo a chi leggerà il libro il piacere della scoperta). Ma non è un viaggio all’inferno. Il riscatto c’è sempre. Laddove, ad esempio, in un dialogo tra i vari protagonisti emerge la grande verità che la scrittrice ha in serbo per noi: «Dovreste smettere di giocare e amare ciò di cui siete fatti. Carne, sangue, desiderio». Quante volte lo dimentichiamo?
La soluzione al male di vivere?
Forse è questa la soluzione del male di vivere, che ci attanaglia in forme e modi che cambiano da individuo e individuo, ma che segue il filo rosso – cupissimo, d’altronde – della solitudine. E l’unico antidoto sembra essere l’amore. Sentimento, anche questo, toccato con mani leggerissime e con estrema lucidità. Non c’è alcuna concessione al romanticismo e laddove la narrazione indulge in un certo immaginario è solo per dimostrarne l’artificio. La vera salvezza, insomma, sta nel nostro essere persone autentiche. Con tutto il nostro portato di passione, di fragilità, con ogni imperfezione. Riconoscere che esistiamo, che abbiamo una vita, dei sogni e delle speranze. E accettarlo. Forse il prezzo da pagare è alto. Forse è troppo doloroso. Ma è l’unica strada che abbiamo e Donzella ce lo ricorda con abile perizia letteraria. Per non ridurci alla stregua di un pezzo di plastica, insensibile e uguale a molti altri.