Fortuna Loffredo è morta il 24 giugno 2014. Quasi due anni fa. In tutto questo tempo una rete di omertà e un contesto criminale hanno coperto il suo presunto assassino, Raimondo Caputo, sospettato di averla violentata e uccisa. Secondo quanto riporta la stampa italiana, verrà riesumato anche il corpo di Antonio Giglio, un bambino di tre anni che ha fatto la stessa fine dell’altra piccola vittima, il 27 aprile 2013. L’ipotesi, del tutto inquietante e indiscutibilmente tragica, è che vi sia una rete di pedofili coperta dalla comunità locale. Se questo fosse vero, significa che per tre anni buoni sono stati tollerati e coperti, casi di estrema crudeltà che vanno dalle violenze sessuali all’omicidio di minori. Crimini che investono non solo responsabilità di un singolo, ma l’intera collettività.
Ho fatto questo preambolo perché non posso rimanere indifferente a come la questione sia stata trattata dai media nazionali. E, visto che di efferatezza si tratta, mi è tornato in mente un altro caso di una certa ferocia, quello dell’omicidio Varani, che ha scosso la comunità Lgbt romana anche per come è stato raccontato da giornali e tv. Sia ben chiaro, si sta parlando di due cose decisamente diverse. Innanzi tutto per il contesto in cui sono maturate: i quartieri difficili ad alta criminalità della provincia napoletana da una parte, la Roma bene dall’altra. In secondo luogo, per la dinamiche che li hanno determinati: un supposto caso di violenze perpetrare dentro una comunità che sapeva, nel caso Loffredo, contro l’eccezionalità di un evento isolato scaturito dalla follia omicida dei due rei confessi per Varani. E non solo: anche la dimensione sessuale dei due casi è profondamente diversa: l’abuso sui minori nel primo caso è strettamente connesso all’omicidio, mentre per il caso romano rimangono più sullo sfondo.
Eppure, di fronte a tale diversità, i nostri mezzi di informazione hanno operato questo tipo di differenziazione: l’omicidio compiuto da Foffo e Prato si è legato indissolubilmente all’orientamento sessuale di quest’ultimo, fornendo un ottimo pretesto per la semplificazione “omosessualità-crimine”. Laddove invece una condotta sessuale rientra a pieno titolo nella natura del reato e nelle sue tragiche conseguenze, non si è operato questo tipo di semplificazione.
Sia ben chiaro, nessuno vuole che si leghino “abusi sui minori” e l'”eterosessualità” di chi li commette. Eppure sarebbe opportuno procedere secondo questa differenziazione anche quando a commettere certi crimini siano gay, persone transessuali, ecc. Perché non dovrebbe essere un certo orientamento a rendere i reati più gravi o odiosi, ma le ragioni per cui si commettono e il contesto in cui maturano. Nel caso Varani o quando, in altri episodi di cronaca nera, si parla di “omicidio in ambienti gay”, i nostri media cavalcano la rappresentazione delle diversità come elementi criminogeni. Fenomeno non nuovo con le minoranze: pare che in Italia, da qualche anno a questa parte, basti essere rom, extracomunitari o, per l’appunto, gay per essere più inclini alla violenza. E non è così.
L’episodio e la storia personale del presunto assassino di Fortuna – su cui pesano sospetti anche per la morte del figlio della sua compagna – ci suggeriscono, per altro, che l’eterosessualità non è granitica garanzia di perfetta felicità e di sicurezza per i/le minori (e ditelo a quelli che “un bambino per crescere bene ha bisogno di una figura maschile e una femminile). Giusto, ovviamente, non fare riduzioni che hanno l’unico risultato di offendere la logica e criminalizzare intere categorie. Ma andrebbe fatto sempre.