In Italia, dagli anni della “Dolce vita” in poi, la figura del paparazzo ha giocato un ruolo chiave sia nell’informazione sia nel determinare fortune e cadute di uomini e donne della politica e del mondo dello spettacolo.
Nei primi anni duemila tre casi, di cui erano protagoniste anche persone transgender, hanno portato alla ribalta mediatica la “questione trans”. Non certo per affrontare i problemi di cui le persone trans soffrono le conseguenze. Piuttosto per usare lo stigma che pesa su di loro per colpire personaggi famosi e determinarne la caduta. Presunte prove fotografiche usate per avallare l’idea che avere a che fare con donne trans (nello specifico), indipendentemente dal tipo di rapporto, sia di per sé motivo di scandalo. I casi in questione sono quelli di Lapo Elkann di Silvio Sircana di Piero Marrazzo. A parlarne, dopo tanti anni, è il paparazzo Max Scarfone, intervistato da Libero.
INTERPRETAZIONI FORZATE E IN MALAFEDE
«Sono tante le “paparazzate” usate per “far fuori” qualcuno, grazie ad una interpretazione forzata, se non in malafede». A parlare è il fotografo (e paparazzo) Max Scarfone in un’intervista a Libero, in cui getta nuova luce su alcuni degli scatti che hanno fatto più scalpore negli ultimi decenni e i cui effetti sono usciti dalle pagine della stampa scandalistica.
Scarfone parla soprattutto di Lapo Elkann, l’allora rampollo della famiglia Agnelli, che dice di conoscere molto bene. Scarfone ne parla come di un «ragazzo di una gentilezza e umanità straordinaria. Lapo è il peggior nemico di se stesso. Ti ricordi la trans Patrizia? Ecco, per tutti Lapo aveva una storia con questa persona. E invece no. Io parlai con Patrizia, mi disse che Lapo andava da lei solo per parlare con qualcuno». Per Scarfone quella notizia fu usata solo per danneggiare Lapo. «E non è certo l’unico caso». Nessun accenno ai danni subiti, invece, da Patrizia usata come pietra dello scandalo.
SIRCANA e la sex worker: UN LINCIAGGIO MEDIATICO
Scarfone si lascia andare e racconta anche del caso che coinvolse Silvio Sircana, l’allora portavoce di Romano Prodi: «Quello è stato un altro momento di linciaggio politico senza senso scaturito dalle mie immagini. Io so bene come andò quella sera. L’immagine rappresentava Sircana mentre parlava con una prostituta transessuale di Roma, ma nell’immaginario collettivo quel gesto è passato come se fosse poi effettivamente andato con questa. E invece no. Sircana andò via subito, ma quello scatto venne utilizzato politicamente per farlo fuori».
Il caso Marrazzo: “strumento per far fuori un avversario politico”
Max Scarfone non ha dubbi: «Con Sircana la politica e i media esagerarono. Un conto è usare delle immagini perché oggettivamente ritraggono una “notizia”, un conto è mettere a soqquadro la vita di un uomo e linciarlo con il solo obiettivo di colpire una parte politica». Infine, alla domanda se anche il caso Marrazzo fosse andato così, il paparazzo risponde: «In fin dei conti sì. Io penso che, alla fine, gli scandali che nascono da queste cose siano strumenti per far fuori un avversario politico». Secondo Scarfone, insomma, il potere si serve spesso del mestiere del paparazzo per battaglie personali o politiche. «Noi facciamo il nostro lavoro: è chi lo compra che sa a che cosa può servire» dice, lavandosi le mani delle sorti delle persone fotografate. E dimenticando che i soggetti più deboli, in queste vicende, sono proprio le persone trans, relegate a soggetti infrequentabili per la loro identità di genere e per la loro attività di sex worker.
Tra “interesse pubblico” e interesse “del pubblico”
Vale la pena ricordare, a questo proposito, che il “caso Marrazzo” non portò solo alle dimissioni dell’allora presidente della Regione Lazio. Nei giorni in cui la notizia teneva banco sui giornali, ben due donne trans coinvolte nella vicenda morirono in circostanze mai chiarite. Marrazzo, dopo una lunga vicenda giudiziaria, fu assolto da ogni accusa. Ad essere condannati, invece, furono i carabinieri. Nessuno si è mai preoccupato più di Brenda e Roberta.
Le parole di Max Scarfone fanno emergere con chiarezza due aspetti. Il primo è legato all’uso che si può fare di una foto facendola diventare una notizia che, di fatto, non è. Come nel caso di Sircana. Che il portavoce dell’allora governo Prodi si fosse fermato a parlare con una prostituta – trans o meno – può essere considerata una notizia? Risponde a quelle buone regole che distinguono l’interesse pubblico dall’interesse del pubblico? Secondo l’autore dello scatto sì.
LO STIGMA DELLA “T”
Il secondo è palese e sebbene siano passati anni probabilmente oggigiorno si riproporrebbe con la stessa forza. Avere rapporti – veri o presunti – con persone transessuali è ancora motivo di stigma e considerato uno “scandalo”. Perché, a ben vedere, lo stigma colpisce prima di tutte proprio le persone trans e le sex worker e, solo di riflesso, chi le frequenta. Del resto non ci meravigliamo se uomini e donne della politica italiana, pur predicando a favore di determinati principi, nella vita privata poi si comportino in tutt’altro modo. Quasi nessuno si meraviglia che Matteo Salvini possa avere avuto più di una compagna o che Giorgia Meloni abbia avuto una figlia con un uomo che non ha sposato. Ma cosa accadrebbe se si scoprisse che un politico della destra ultraconservatrice dovesse avere una relazione con una donna trans? L’opinione pubblica sarebbe così benevola? No, probabilmente no. E di sicuro qualcuno, dietro a un obiettivo, si sfregherebbe le mani. Perché puoi portarti a letto tutte le donne che vuoi: basta che siano etero e cisgender.