Vi avevamo detto che non ci saremmo fermati, neppure in questo momento di emergenza in cui la parola d’ordine – in ogni senso – è #restiamoacasa. Pensiamo, altresì, che un antidoto a questa situazione, che bella non è, sia proprio la bellezza. E nel nostro canone di bellezza rientra la lettura. La lettura di libri buoni e, naturalmente, belli. Perché la letteratura è un modo come un altro per vivere vite intere, pur rimanendo nella propria. E allora oggi, come è già successo altre volte, vogliamo proporvi una rosa di titoli tra i più vari: mettendo insieme saggistica, narrativa e poesia. Buona lettura, appunto.
L’esordiente e Le ultime donne
È un libro di una scrittrice esordiente, Le ultime donne, di Stefania Coniglio pubblicato da Villaggio Maori Edizioni. «Big Mama, Flower, Ro, Myself… sono solo alcune delle ultime donne ospitate nella comunità di accoglienza della Cooperativa Prospettiva» si legge nella scheda di presentazione del libro, «arrivate dalla vicina Mama Africa per scappare dalla guerra e dalla miseria, alla ricerca di un futuro migliore». Ed è un libro che ti avvolge, per un impianto narrativo solido, in cui il contatto con l’umanità diventa narrativa e denuncia sociale, al tempo stesso. Testimonianza di vita, che dalle viscere arriva al cuore.
«Come in un villaggio, la comunità di accoglienza è un microcosmo dove si fa esperienza concreta della diversità; attraverso la condivisione e la contaminazione reciproca si raggiunge il significato più basilare del termine integrare: aggiungere per completare». Da leggere, perché si aiutano sempre gli autori e le autrici emergenti. Ma non solo. Perché ci mette in contatto con un’umanità preziosa. E ne abbiamo un disperato bisogno.
L’attivista e la sua Pink Tale
Avete nostalgia delle chat su mIRC, degli squillini su Msn e le colonne sonore di Winamp? È questo l’universo narrativo raccontato da Marco Alessandro Giusta, nel suo romanzo A pink tale, edito da Robin Edizioni. Coerentemente con la sua storia di attivista per i diritti Lgbt+, l’autore mette in scena un romanzo di formazione, in cui i protagonisti – Ale e Diego – mettono in gioco se stessi e la loro identità, per costruire i contorni della propria esistenza e della piena libertà dell’essere.
I temi sono quei momenti di vita con cui tutti e tutte noi ci siamo dovuti confrontare: il coming out, l’accettazione familiare (con tutto ciò che implica l’affrontare il “comodo” nido della famiglia), il sesso vissuto come scoperta ed emozione… Tutte queste finestre narrative sono costantemente disturbate dai pensieri e dalle riflessioni dell’autore che rimandano ad altre storie e ad altri paesaggi dell’immaginazione che fanno da fondale alla storia. E si toccano i punti più caldi dell’agenda politica Lgbt+, quali la lotta al pregiudizio e all’omofobia. Un messaggio, insomma, che è vera e propria “favola arcobaleno”.
La poetessa e i luoghi Dove non siamo stati
Sta crescendo, Giovanna Cristina Vivinetto. Ne abbiamo già parlato, quando uscì con il suo Dolore minimo, in cui parlava – e accadeva per la prima volta, nella letteratura italiana – della sua transizione in versi. Con la poesia. Perché cos’è la celebrazione della vita se non una forma sublime di parola poetica? E ora il tema della trasformazione torna nel suo nuovo libro, edito da Rizzoli, Dove non siamo stati. «La transizione, che nei versi di Dolore minimo è sessuale, diventa qui un dato esistenziale irrinunciabile per poter andare avanti. Una poesia di fantasmi e di addii, di case abbandonate, di realtà custodite solo nel ricordo di chi resta, nei giochi lasciati dai bambini nei cortili dell’infanzia».
È vita in versi liberi, quella di Vivinetto. La vita nelle sue grammatiche di cambiamento, di dolore e rinascita, di identità che si schiude, come tutto ciò che è destinato a portare la sua esperienza nel mondo. «Un portato poetico universale e autentico, in cui l’esperienza personale si trasfigura per accogliere il vissuto di ciascuno, interrogando un vuoto in cui, a ben vedere, siamo sempre stati».
Il filosofo e il modo per dire NO
Ama definirsi estetologo ed è filosofo e femminista: stiamo parlando di Lorenzo Gasparrini, che ha scritto il pregevole saggio No – Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un problema essenzialmente maschile, per EffeQu. Un libro agile, ma per nulla scontato, che ci interroga profondamente sull’identità maschile. Un costrutto culturale messo in piedi da una società che pretende un immaginario standardizzato e, se vogliamo, violento nella costruzione di tale identità. Gasparrini utilizza la più semplice delle parole esistenti – “no”, appunto, che poi dà il titolo al libro – per rifiutare i copioni sociali che ci si aspetterebbe dai “veri uomini” sugli scenari dei sentimenti, della sessualità, del lavoro, delle interazioni sociali a più ampio spettro.
«Molti uomini sono soggetti a pesanti condizionamenti sociali, e il primo e forse più pesante di tutti è quello che li illude di essere fuori da ogni condizionamento» leggiamo sulla scheda di presentazione del libro. «Nel sistema educativo occidentale già ai bambini viene raccontato che nella vita possono fare tutto, essere ciò che vogliono, a patto di “credere nei propri sogni”, o espressioni simili» e in una società siffatta, ovvero «piena di desideri di successo e fondamentalmente agonistica, il rifiuto diventa qualcosa di estraneo, di non elaborabile: difficile non solo da subire, ma anche da agire». Gasparrini ci fornisce gli strumenti per disinnescare questa trappola.
La scrittrice e La canzone di Achille
E concludiamo con un altro romanzo, che ci porta ad una leggenda antica che si perde non solo nella memoria dell’umanità, ma anche nelle reminiscenze scolastiche, quando in classe studiavamo il mito di Achille e il suo rapporto con Patroclo. Ma, per stavolta, «dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte». Così leggiamo sulla presentazione del libro. «Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore». Cosa resta, allora? Resta l’amore.
Seguiamo, insieme a Madeline Miller, con La canzone di Achille pubblicato per Marsilio, «il cammino di due giovani, amici prima e poi amanti e infine anche compagni d’arme». L’autrice, insomma, recupera la piena umanità di «due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna». Una storia che promette di essere struggente e, come l’Iliade da cui è tratta liberamente, ugualmente destinata ad andare oltre la morte.