In questi giorni si è molto parlato della possibilità o meno che i sindaci possano invocare l’obiezione di coscienza per non celebrare le unioni civili, tanto più che un leader politico, Salvini, ha in qualche modo sollecitato i sindaci all’appello e oltre 200 sindaci legisti hanno risposto, almeno a parole, alla chiamata.
Proprio venerdì il Presidente della Repubblica Mattarella ha promulgato la legge e sabato c’è stata la firma del ministro Orlando e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Dunque se tutto va bene, nel giro di qualche settimana (per maggiori informazioni fate riferimento alla nostra guida) sarà possibile unirsi civilmente.
Che fare dunque se un Sindaco si dichiara obiettore di coscienza e tenta di non fare celebrare le unioni civili?
Per prima cosa va precisato che il testo della Legge cd. “Cirinnà” non prevede il diritto all’obiezione di coscienza.
Tale diritto deve essere previsto espressamente, come avviene ad esempio con la legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza che permette ai ginecologi di fare obiezione per questioni di coscienza (con alcuni limiti, se la donna è in pericolo, e con tutti i problemi che ne discendono per le donne che vogliono abortire visto che in Italia oltre il 70% dei ginecologi è obiettore).
Proprio perché l’obiezione di coscienza è un particolarissimo diritto previsto in poche, rare, eccezioni, sarebbe poco coerente se – non presente nel testo di legge – venisse poi introdotto nei decreti attuativi, perché si tratterebbe di un eccesso di delega che a nostro avviso molto facilmente verrebbe spazzato via dalla Corte Costituzionale qualora interpellata.
Quello che può fare un sindaco che non voglia celebrare personalmente delle unioni civili è, al più, delegare qualcun altro, come già accade per i matrimoni tra eterosessuali (soprattutto nelle grandi città in cui è impensabile che un sindaco possa celebrare tutti i matrimoni).
Sarebbe interessante valutare se un’eventuale delega data espressamente non per ragioni d’ufficio ma per ragioni di coscienza non rappresenti essa stessa un atto discriminatorio.
Quel che è certo, però, è che il sindaco, in quanto pubblico ufficiale, non può non applicare una legge per motivi di coscienza. Rifiutarsi di celebrare un’unione civile e non delegare altri a farlo e, dunque, impedire l’applicazione della legge rappresenterebbe un grave illecito penale, ovvero omissione di atti d’ufficio (art. 328 del nostro Codice Penale).
In quel caso dunque si potrebbe ricorrere in sede civile e penale per far sì che l’unione civile venga celebrata.
Secondo alcuni commentatori, infine, essendo il sindaco un rappresentante del Governo, qualora appunto si rifiutasse di applicare la legge (e dunque non consentirebbe nel proprio comune a due persone di unirsi civili di sposarsi, né personalmente né delegando) potrebbe addirittura rischiare di decadere e che al suo posto venga nominato un commissario.