Il pride è una carnevalata? Poche settimane fa il lampione di Walter Gropius denunciava la solita litania ad uso e consumo di una mentalità escludente ed eterosessista da parte di certe persone interne alla comunità arcobaleno e, puntuale come un’immagine photoshoppata di Giorgia Meloni, il solito perbenismo ha già mietuto le sue prime vittime per il 2016. Perché dobbiamo rassegnarci, è così: non appena la stagione dell’orgoglio comincia, c’è sempre l’immancabile gay moralista o la sempiterna lesbica dal disgusto facile messi lì a pontificare su quanto sia controproducente veicolare certe immagini, riproporre certi stereotipi e via discorrendo. E infatti…
È stata lanciata la campagna del Roma Pride 2016, il cui slogan recita “Chi non si accontenta lotta!”, chiarissimo riferimento a quanto insufficienti siano state le recenti unioni civili, che tutelano in modo parziale le coppie omosessuali e per nulla la loro prole. Per ricordare il valore della militanza, è stato fatto un manifesto che è un chiaro riferimento a Sylvia Rivera, l’attivista trans che allo Stonewall Inn di New York, nel 1969, fu tra coloro che diedero il via a una rivolta da cui è nato il movimento Lgbt contemporaneo. Tradotto in parole più semplici: se non c’era quella donna a prendere a colpi di tacco a spillo la polizia, col cavolo che eravamo qui a rivendicare il matrimonio o ad avere il ddl Cirinnà.
Perché se non fosse ancora chiaro, i moti di Stonewall rappresentano uno spartiacque fondamentale per la storia della gay community: prima, gay, lesbiche e trans chiedevano il permesso di esistere. Dopo, invece, si sono presi in mano la propria vita. Per quello che sono. Per quello che siamo. Senza chiedere scusa a nessuno. Quando parlo di dignità, parlo proprio di questo. Essere noi stessi/e senza concessioni esterne. Giusto per fare un po’ di memoria storica, anche se mi rendo perfettamente conto che questo esercizio può essere molto faticoso se percepiamo il nostro abitare questo pianeta solo in qualità di pubblico di “Uomini e donne” o di eventuale reality a caso, tra quelli proposti dalla tv generalista.
Pubblicata la foto, seguono i soliti, agghiaccianti commenti: «Ma l’esigenza di doversi necessariamente mettere in mutande e fare baracconate varie qual è esattamente?» scrive Giordano, «Il messaggio non passa per tutti, io sono gay e non so chi sia sylvia riviera» (sì, in minuscolo) rincara Lorenzo ad Andrea, che gli aveva rivelato il riferimento storico-culturale. E non solo: «Come sempre, l’immagine che date del mondo lgbt è patetica. Bravi continuate così che l’adozione ve la concederanno nel giorno del Poi e nel mese del Mai», punta il dito un utente dal criptico nickname (tale Ma De A). O ancora: «L’immagine è esagerata..come sempre..carnevalata..immagine che ha omofobo, che pensa che gli omosessuali siano così in ogni momento della loro vita..basta con questo stereotipo..basta con il carnevale», per tale Chiara, che non reputa altrettanto sconcertante un certo uso della punteggiatura.
Orbene, chi mi conosce dice che spesso appaio sgradevole per la mia aura da saccente, mista a quel senso di superiorità che per alcuni non ha ragion d’essere. E allora mi scuso in anticipo se peccherò non di saccenza, ma di sapienza – visto che forse ho cognizione delle cose di cui si sta parlando – e se non eviterò di dimostrare quanto in basso vanno collocate certe pseudo-argomentazioni, perché qui non è questione di essere sopra o sotto qualcuno, ma quando il livello circostante è ad altezza muschio, anche un cespuglio di tamerici rischia di assumere l’imponenza di una sequoia canadese. Ma davvero, ho giusto tre cose da dirvi, a voi di cui sopra. Solo tre, promesso, e poi spero che anche quest’ennesima querelle finisca nel meritato oblio. E quindi, nell’ordine:
1. Se non sai perché si celebra il pride, se non sai chi sono i personaggi storici che vanno ricordati, se ti sfuggono i presupposti di quello che è un momento di gioia e di lotta allo stesso tempo, se insomma pecchi di tutta l’inadeguatezza possibile rispetto una data che, ti piaccia o meno, ha cambiato la tua esistenza e in meglio, fa un favore all’umanità – almeno a quella che non finirà mai di fronte al tribunale dell’Aia per genocidio di congiuntivi o che non usa termini quali “passiva” e “donna” come insulti – e il favore è molto semplice: taci, istruisciti e poi, magari, esprimi un’opinione. Sono le basi dell’argomentazione, se vogliamo dirla tutta. Ah, e a tale proposito: Wikipedia è gratis.
2. I diritti non sono gentili concessioni da parte di una maggioranza a una minoranza che deve dimostrare di avere una moralità maggiore, rispetto a quella che la maggior parte delle persone non è in grado di garantire nemmeno. Se non capisci tutto questo, non puoi assumere non tanto la qualifica di “gay”, “lesbica”, ecc, ma addirittura quella di cittadino/a che significa, ti stupirà saperlo, “persona civile”. E chi percepisce se stesso/a come qualcosa di meno rispetto a tutto il resto, davvero, non ha nessun titolo per dire agli altri e alle altre cosa devono o non devono essere. Così, per esser chiari fino in fondo.
3. Il pride è un Carnevale, è vero. Con la C maiuscola. Ma è anche il suo esatto opposto. Perché non è il luogo in cui ci si maschera, ma al contrario, è il luogo in cui si attua il disvelamento. Volevano che fossimo nascosti/e, che non dessimo alla nostra identità il nome e la forma che più ci piace indossare.
E quindi, molto semplicemente e con tanta serenità, noi siamo quello che vogliamo: dai lustrini alle scarpe da ginnastica, dal filo interdentale a mo di perizoma alla t-shirt che magari va via perché fa caldo, quel giorno. Giacca e cravatta inclusa. Non ti sta bene? Sempre meglio il nostro Carnevale che l’essere buffoni di corte di un sistema di potere che ha previsto un copione fatto di se, di ma, di restrizioni, di grigiore intellettuale, prima di ogni altra cosa (infatti non sapete chi è Sylvia Rivera, vi ricordo). E vi dirò di più: a Londra, New York e Madrid i pride sono più estremi dei nostri e lì hanno il matrimonio. Forse hanno pure qualche bigotto in meno. Pensateci.
Poi ok, ci sarebbe anche il punto 4 sulla meta in cui mandarvi o su eventuali pratiche di natura più privata nelle quali cimentarvi quando vi avventurate in discorsi come quelli con cui ci deliziate nelle occasioni siffatte. Ma a leggere ciò che scrivete, deduco che riuscirete a farcela anche da soli, senza consigli ulteriori. E con questo chiudo. Con la stima di sempre, ça va sans dire.
Il fatto e’ ke anche gli etero sn soggetti a discriminazioni da parte di sindaci perbenisti di orientamento politico non definito, se io sn accompagnato da una ragazza del paese delle aquile con un look da Barbie rischio di essere multato perche qualcuno le da della puttana ?.ma io mi rivolto contro chi mi fa il verbale e non solo lo denuncio ma gli rompo le ossa del naso !!!
Articolo interessante, davvero. Tuttavia io non la penso così. Sono un ragazzo di 22 anni ben consapevole di essere gay da quando ne avevo 16 e ne ho viste di cotte e di crude. Io penso che sia giustissimo manifestare il proprio essere e ,soprattutto, sottolineare le proprie diversità perché, come dice il proverbio, il mondo è bello perché è vario. Penso però che definire una manifestazione così piena di significato un “carnevale”, sia sbagliato sotto tutti i punti di vista: i presupposti del carnevale, Dario, sono lo scherzo (e direi che qui si parla di tutto tranne che di scherzi) e la pazzia (basti pensare al proverbio “semel in anno licet insanire”). Per questo motivo non condivido il titolo di questo articolo.
Non condivido, inoltre, come viene attuato il Gay pride. Vi spiego perché poi, se non siete d’accordo, scrivetemi cosa ne pensate così possiamo confrontarci. In passato, secondo me, era necessario dover stupire/trasgredire per poter essere notati. Se fossimo negli anni ’50 e un uomo in giacca e cravatta andasse in giro chiedendo diritti per gli omosessuali penso che nessuno lo guarderebbe. Cosa ben diversa se viene fatto da un uomo travestito da donna. Ma questo si può già vedere da cantanti come Madonna che, nonostante non avesse la voce più bella e potente dell’epoca, è tutt’ora un’icona e tutti la ricordano perché trasgressiva e fuori dagli schemi. In un mondo odierno dove la schiavitù è abolita, le donne possono votare e gli omosessuali escono sempre più allo scoperto, a mio avviso, non è necessario dover trasgredire e quella frase che dice “continuate così e i bambini non ve li daranno” io la condivido. Ma pensate razionalmente: voi da FIGLI sareste contenti di dire a scuola “Ieri sono andato al gay pride con i miei papà: papà Giuseppe era vestito da donna con le calze a rete e il perizoma e papà Luca da poliziotto sadomaso”. A me non sembra molto normale. Per cui penso che se uno vuole partecipare ad un carnevale direi che in Italia ne abbiamo a iosa, se si vuole rimorchiare tra grindr, romeo, discoteche e Facebook siamo a posto per una vita etc etc ma se una persona vuole davvero far valere un proprio diritto sarebbe forse ora di farlo in modo un po più civile e con un occhio di riguardo soprattuto al buon costume. Per cui vanno bene i glitter, i colori (più ce ne sono meglio è perché è vero.. deve essere una festa) ma il filo interdentale come mutande.. forse quello eviterei perché sarebbe un po come quando cicciolina venne eletta alla camera dei deputati: le idee potevano essere anche buone ma il modo in cui venivano proposte facevano sì che non venissero prese seriamente. Non è che solo perché viene fatto a New York e Londra allora debba essere fatto anche qui.
Concludo dicendo che è vero che la legge sulle unioni civili non ha soddisfatto tutti (sarebbe anche impossibile) ma è comunque un punto di partenza. Dove non c’era niente ora c’è qualcosina e non è così scontato. Il voto alle donne non è stato dato in una notte e così non sarà di certo per le leggi sulle adozioni ma, a mio modesto parere, è comunque una vittoria e quindi sarebbe doveroso anche festeggiarla per bene invece di denigrarla in continuazione. Un abbraccio
Te t’incazzi di rado, ma quando t’incazzi sei bello e terribile come un esercito schierato in battaglia. 🙂
Posso condividere in senso generale l’analisi, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di memoria storica…ma, a mio parere, c’è comunque un “ma”…appunto.
Non tutti i gay o lesbiche o, faccio prima, le persone LGBT hanno l’estroversione tipica non dico di chi partecipa al Pride come singolo nella massa ma piuttosto di chi sale su di un carro…il tutto sta nella motivazione, secondo me.
Se una critica nasce da un genuino pudore beh, mi spiace dirlo, ma hanno diritto ad esistere anche gli introversi ed i timidi e chi si scandalizza diventa esattamente come coloro che combatte, per lo meno nell’ottusa intolleranza (tanto per sfatare luoghi comuni, ricordo che non tutti i gay lavorano nella moda, per esempio…o che altri detestano trucco e parrucca; di banalità se ne può citare a bizzeffe). Se invece la lamentela è semplicemente un vagìto di auto repressione…beh, chi ci rimette è solo chi la manifesta. Ma stia tranquillo: prima o poi i nodi vengono al pettine per tutti. E sarà così anche per lui/lei/loro.
Almeno così la penso io.
Ehm… Ariano guarda che mica è obbligatorio venire al pride con i lustrini e mezzi nudi. Se leggi l’articolo dice “siamo quello che vogliamo… giacca e cravatta inclusa”. Ce ne sono di persone che vengono al pride vestite sobriamente, sono una gran parte! E nessuno si sogna di dire loro “non sei vestito adatto all’occasione”, ma neanche lontanamente. Le persone vengono al pride per manifestare prima di tutto quello che sono, e se le persone introverse e pudiche sono degne anche così, lo stesso dicasi per chi invece di mettersi i lustrini ha voglia!
Clap clap clap!
Anche perché, ragazzi, è ora di aggiornarsi. Saranno dieci anni che sento ‘sta storia del Pride-carnevalata e nel 2016 direi che possiamo ritenerla superata.
STUDIATE … BAMBINI … STUDIATE … LA NOSTRA STORIA DEVE ESSERE STUDIATA E IMPARATA A MEMORIA … STUDIATE
A metterci la faccia non furono maschioni in giacca e cravatta e gli insospettabili, LA FACCIA …E LA FORZA BRUTA CE LA MISERO … LE checche, LE transessuali e LE puttane … IN QUEL FAMOSO LOCALE “Stonewall Inn” …
Tutto avvenne nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969, poco dopo l’1:20, quando la polizia irruppe nel bar chiamato “Stonewall Inn”, un pub gay in Christopher Street nel Greenwich Village. Leggenda narra che fu Sylvia Rivera a dare il via alla protesta, scagliando una bottiglia contro un agente, dopo essere stata presa a manganellate.
Lì, in quel momento, presero vita i Moti di Stonewall.
La folla, stimata in 2.000 persone, battagliò contro oltre 400 poliziotti. C’erano drag, c’erano trans, c’erano le ‘checche’.
Ci furono 3 giorni di rivolte.
Per la prima volta nella storia d’America i gay decisero di ribellarsi alle vessazioni di chi, in linea teorica, avrebbe dovuto difenderli e proteggerli.
Il giorno dopo, il 28 giugno, ci fu la prima sfilata dell’orgoglio omosessuale, in strada, per rivendicare rispetto, giustizia, diritti. Il primo storico Gay Pride.
Era il 1969. 47 anni di lotte e di battaglie, che in questi ultimi 48 mesi hanno visto crollare muri storici, tanto in Europa quanto in America, in ambito matrimoniale.
47 anni di Pride, di carri e partecipanti, di omosessuali ed eterosessuali, di vecchi e bambini, di musica, lacrime e sorrisi, di tacchi, lustrini, cravatte, minigonne, pantaloni, tette, peli esibiti e calze a rete.
47 anni ed andarne orgogliosi. Dal primo all’ultimo.
Perché se non fosse stato per quei 47 anni di Pride che tanti gay, inopinatamente, osano persino attaccare, non saremmo qui a parlare di matrimonio tra persone dello stesso sesso in tutti e 50 gli stati d’America. Perché 47 nni fa, in quella notte tra il 27 e il 28 giugno, centinaia di omosessuali decisero di metterci la faccia (e senza star lì a discutere sull’eventuale vestiario da esibire), pur di regalare a noi, fortunate generazioni future, ciò che all’epoca sembrava semplicemente un sogno …
… Il diritto di esistere …
io penso che l’articola sia interessante ma sono convinta che la campagna scelta sia sbagliata perché autoreferenziale. la capisce solo chi conosce la storia. E il punto 1 – se non sai la storia son problemi tuoi- è altrettanto sbagliato. E’ importante parlare a tutti. per me il messaggio da portare avanti è che i diritti civili sono di tutti e contribuiscono a rendere la società migliore per tutti. insomma per dirla alla Gaber “libertà è partecipazione”. Eleonora C.
Ho profondamente apprezzato l’articolo. Nella comunità LGBT spesso i soggetti più discriminati sono quelli più visibili, ovvero trans, gay effeminati e lesbiche molto maschili. Queste categorie sono quelle che più hanno bisogno di parate orgogliose e trasgressive. Nella versione più carnascialesca e libertina del pride, trova più facilmente spazio e voce anche chi risulta più visibile di altri. Ed è proprio grazie a chi volontariamente o meno si rende visibile che chi non lo è, o lo è meno, ha potuto nel tempo guadagnare diritti ed uscire allo scoperto. Questo desiderio di normalizzarsi e ingrigirsi per guadagnare credibilità è tristemente collegato al becero sessismo che vede nella femminilità un ornamento volto a compiacere la ben più seria mascolinità. Nel travestimento di carnevale vediamo spesso un gioco per fare ciò che nella vita reale non faremmo, uno “scherzo” appunto. Il pride invece è in realtà l’occasione per rendersi visibili ed esigere la propria fetta di diritti. La modalità di svolgimento è spesso incriminata: chi non vuole le drag perché sembra un voler ridicolizzare l’identità trans, chi non vuole spogliarelli o gente mezza nuda perché tutto ciò fa perdere serietà alla parata, ecc… Sembra un voler epurare la comunità LGBT (e si badi che non succede solo in Italia) delle minoranze scomode, le “minoranze visibili”. E tutto questo per poter camminare più agevolmente sotto il sole della civiltà catto-bigotta inquinata di puritanesimo 2.0.
Al di là di quella che è la storia del Pride e del fatto sia fondamentale la presenza delle drag, il cross-dressing (ovvero il travestirsi con indumenti del sesso opposto, magari anche eccessivi nelle forme e nei colori) vuole in un certo senso essere un modo per sfondare la barriera che impone determinati standard e linee guide alla donna e all’uomo per essere socialmente legittimati. Sono appunto questi standard che pregiudicano in modo discriminatorio le “minoranze visibili”, e sono questi standard quelli messi in discussione dal pride.
E’ profondamente disarmante che anche all’interno di una minoranza quale gli LGBTQ ci sia chi vuole imporre una linea guida anche sul modo in cui ci si deve porre nel vivere la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale.
Luigi, 22 anni