“Lei lo lascia, lui non resiste più: la uccide con 2 colpi e poi si spara”.
Questo è il titolo di un giornale di oggi, l’ennesimo titolo (fuorviante) su un episodio di femminicidio.
L’ennesima frase che in qualche modo quasi giustifica la violenza cieca, mostruosa ai danni di una donna.
Andrà a finire che la colpa è di Michela, che aveva deciso di lasciare il suo ex.
Oppure è colpa di Sara, strangolata e bruciata a Roma pochi giorni fa da un ex che era “troppo geloso”.
Certe parole uccidono due volte, soprattutto quando rischiano di trasformare l’orco in povera vittima innamorata, e di trasformare la vera ed unica vittima quasi in una strega malvagia senza cuore.
Le parole sono importanti, e identificano l’abisso culturale in cui viviamo, un abisso che genera mostri.
Non possono esserci giustificazioni per tanto orrore: la gelosia, una delusione d’amore, fosse anche un tradimento, non possono ammettere la mostruosità di chi toglie la vita ad un’altra persona, spesso in modo brutale.
Sono onesto: se avessi una figlia femmina avrei paura. E non tanto e soltanto che possa accaderle qualcosa. Ma soprattutto che questa mia paura possa condizionarmi e condizionarla, farle credere che in qualche modo stia a lei stare attenta per evitare che accada qualcosa di male.
Non ci sarebbe nulla di razionale o logico in questa paura, e proprio per questo pur con tutti gli sforzi forse non riuscirei ad evitarla.
Avrei paura perché pur non volendo forse dovrei insegnarle che questa società giustifica le azioni disumane degli uomini mentre al tempo stesso ammonisce e giudica la libertà e il principio di autodeterminazione delle donne.
Troppo spesso bere una birra di troppo o mettere una minigonna sono azioni per una donna imperdonabili tanto da giustificare una violenza, perché in qualche modo “se l’è cercata”.
Persino i giudici pochi mesi fa, nella triste vicenda accaduta a Fortezza dal basso, sono stati pronti ad assolvere i 5 ragazzi (ovviamente italiani e di buona famiglia) che hanno – secondo quanto riportato dalla vittima e quanto peraltro riscontrato in vari momenti del giudizio – abusato di una ragazza loro coetanea.
La vittima, oltre ad aver subito un episodio agghiacciante che l’ha segnata per sempre, ha dovuto subire sulla propria pelle giudizi volgari pesanti come macigni: per il solo fatto di essere bisessuale e femminista, di aver scelto di non sottostare a schemi imposti da altri, è stata tacciata di avere “una condotta sregolata”, “una condotta non lineare”, “una sessualità confusa” e che è “un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline”. E lo racconta in una lettera straziante, che vi consiglio di leggere.
Questa settimana un episodio in parte analogo: un ragazzo stupra una ragazza semi-incosciente alla Stanford University e nonostante vengano richiesti 14 anni di carcere il giudice gli da soltanto 6 mesi per evitare che un periodo di carcerazione più lungo abbia un “impatto severo” sulla carriera sportiva del giovane, nuotatore affermato.
La cosa che più mi ha sconvolto in questa storia è stato leggere le parole del padre dello studente che ha minimizzato il gesto ed ha sostenuto che il figlio non merita la prigione perché “è un prezzo pesante da pagare per soli 20 minuti di azioni su 20 anni di vita”.
Come abbiamo fatto a perdere del tutto la nostra umanità? Quando è stato l’esatto momento in cui abbiamo smesso di amarci e di amare?
Da padre di un figlio maschio provo orrore all’idea di potere anche solo lontanamente giustificare che mio figlio faccia violenza sulle donne, o in generale su un altro essere umano.
Da padre di un figlio maschio sento su di me come genitore un compito importante e molto impegnativo.
Devo insegnare a Luca a rispettare gli altri, a non prevaricare, a non pensare che un’altra persona possa essere una proprietà o che una donna sia un essere da “sposare e sottomettere”.
Devo insegnare a mio figlio il rispetto.
Devo insegnare a Luca ad essere femminista se necessario (senza diventare veterofemminista certo), in una società che brandisce maschilismo ed eterosessismo come fossero un’arma che non ammette alcuno sconto.