Il ddl Zan è finalmente arrivato in discussione al Senato e, esattamente come cinque anni fa durante il dibattimento per le unioni civili, abbiamo dovuto ascoltare dichiarazioni ai limiti del surreale. Qualora non propriamente offensive per le nostre intelligenze, prima ancora che per il loro portato politico. Emerge, innanzi tutto, una grande evidenza. Tutti e tutte, a Palazzo Madama, vogliono portare a casa il risultato. Tutti e tutte, tra senatori e senatrici, sono convinti più che mai dell’urgenza di questo disegno di legge. Viene da chiedersi: dov’erano nelle passate legislature quando potevano portare il loro contributo? Perché questa legge non la stiamo aspettando da tre settimane ma da oltre venticinque anni. Questo come quadro generale, ma non è – purtroppo – l’unico elemento di criticità.
L’ipocrisia di chi vuole ottenere il risultato
Innanzi tutto, credo che tutte noi persone Lgbt+ ci siamo sentite offese dalla carità pelosa di tutti quei rappresentanti che parlando di “necessità di salvaguardare quei giovani discriminati solo per il loro modo di amare“. A sentirli, sembrerebbe che ci credano davvero. Ora, non è solo una questione di riduzione di una realtà molto più complessa. La comunità Lgbt+ – di tutte le età, per altro – non venie discriminata solo per il modo che ha “di amare”. L’amore è, semmai, la conseguenza di un problema sistemico più ampio. E poi, non sono rispettabile nella misura in cui vengo pervaso da nobili sentimenti. Potrei essere un gay a cui piace cambiare un partner al giorno. Sono forse meno meritevole di tutele e di rispetto per questo?
La questione della visibilità
E ancora, sono davvero sicuri quei senatori e quelle senatrici che vanno avanti con questa manfrina da buoni sentimenti un tanto al chilo che il problema non sia molto più ampio? C’è la visibilità, che forse è il primo dei motivi per cui siamo bersaglio da parte di azioni d’odio. In primis, le persone transgender sono oggetto di persecuzioni, anche efferate, per il loro essere al mondo. Ed è per questo che si è inserita la clausola sull’identità di genere. Perché la loro identità, che le rende presenti – e quindi destinatarie di un’identità specifica – al cospetto del resto del mondo, è oggetto di discriminazioni e violenze.
Lasciate stare “i nostri giovani”
Capisco che i Faraone, i Salvini, fino al più anonimo dei senatori di Forza Italia non vogliano toccare questo piano. E si comprende perché si vuol togliere quella clausola. Ma per favore, non usate “i nostri giovani” per giustificare le vostre scelte politiche. Lə nostrə giovani (sì, al plurale inclusivo) soffrono non solo per una mancanza di legge, ma in primis per la mancanza di una cultura – giuridica e umana – che fa nascere quelle condizioni che poi portano al bullismo nelle scuole, ai pestaggi nei parchi e nelle metropolitane, agli insulti, alle discriminazioni e alle violenze. E la classe politica, o con le sue posizioni presenti e passate o con la sua inazione, è corresponsabile di questo clima d’odio. Lo stesso ritardo con cui si sono avuti due diritti in croce ha alimentato una narrazione tossica sulla nostra comunità. Narrazione che abbiamo ascoltato, illo tempore, proprio durante l’approvazione delle unioni civili e che oggi ritroviamo sul ddl Zan.
La contraddizione di Fdi, alleato di Orban
Tralascerò i commenti, poi, da parte di quei personaggi politicamente più connotati, ma vorrei soffermarmi su alcuni contraddizioni profonde che sono emerse durante il dibattito. Numerosi gli interventi di esponenti di Fratelli d’Italia. Centrati sul fatto che, con la legge Zan, non si potrebbe più dire che famiglia è “solo uomo e donna” e amenità simili. Per questi tutori dello stato di diritto e della libertà di pensiero, sarebbe a rischio la possibilità di esprimersi liberamente. Stiamo parlando del partito, insieme alla sua leader, che più volte ha espresso attestati di stima e solidarietà per Orban, anche in relazione alla sua legge che vieta di parlare di questioni Lgbt+ nelle scuole?
Le responsabilità dei renziani
Un’altra contraddizione arriva proprio dai banchi di Italia Viva, per voce di Davide Faraone. Il capogruppo renziano ieri ha applaudito a un discorso di Salvini sull’incostituzionalità del ddl Zan. Faraone, ripreso al Senato, si è lamentato del fatto di essere stato sbattuto sui social, chiedendo a Casellati di intervenire contro Monica Cirinnà, che ha diffuso il video. Quindi, subito dopo ha fatto notare che se le pregiudiziali di incostituzionalità sono passate, è per merito dei voti di Italia Viva. I voti, dunque ci sono. Ed è qui che cade in contraddizione: Faraone ha di fatto ammesso che la maggioranza sul ddl Zan c’è. Anche La Russa, in un intervento successivo, glielo ha fatto notare. Ergo, va da sé che se la legge non dovesse passare, sarà solo colpa dei renziani.
Legge Zan per vendere smalti per uomini e il crollo dell’Impero Romano
E poi si va sul comico. Da chi ti viene a dire che questa legge serve a vendere gli smalti per gli uomini – si, si è sentito dire anche questo – a chi se la prende con i locali gay. Come Sandra Lonardo (Gruppo misto) ad esempio. A cui un certo tipo di luoghi non piacciono, perché lei vorrebbe posti aperti a chiunque. Ignorando che quei locali sono nati per proteggere le persone Lgbt+ dalle violenze che potrebbero subire nei locali “per tutti”. O ancora, il senatore Perosino, di Forza Italia, che ci fa sapere che la lobby gay è potentissima, sempre in tv (e infatti, quantə militanti abbiamo visto nei dibattiti? Ah sì, nessuno), fino a prefigurare l’ipotesi – con la legge Zan – di un grado di decadenza dei costumi paragonabile alla caduta dell’Impero Romano. Sì, ci sarebbe da ridere se la cosa, oltre che ridicola, non fosse tragica nella sua essenza.
Lo spazio di mediazione sul ddl Zan si chiama transfobia
Questo, insomma, il livello della discussione in Senato. E siamo solo al primo giorno, a metà lavori. Dibattito portato avanti da una classe politica di soggetti privilegiati che non ha ben chiare definizioni di base, come identità di genere e orientamento sessuale. Facendo addirittura confusione tra le due cose. Che non conosce la dimensione reale del fenomeno della discriminazione. E che non ha chiaro che non può esserci margine per nessuno spazio di mediazione sulla legge Zan. Perché quello spazio, quell’ “arte del compromesso” auspicato a Palazzo Madama in questi giorni, ha un nome e uno soltanto: transfobia. E non vogliamo una legge che fa fuori la comunità transgender. Ne vedremo, insomma, delle belle. E siamo solo a metà della prima giornata.