La vergognosa vignetta sulle donne afghane cancellate dai talebani

I talebani hanno conquistato Kabul e si parla di donne già rapite e portate via dai miliziani. La situazione è più che drammatica. È agghiacciante. Secondo alcune fonti – come Urban post e il Corriere.it– le forze integraliste stanno stilando delle vere e proprie liste nere di donne single. Ancora, alle donne sarà proibito lavorare, oltre che studiare, e moltissime ragazze stanno chiudendo i profili social perché i talebani proibiscono l’uso degli smartphone e di internet. Inutile dire che il burqa è tornato obbligatorio e che nessuna donna potrà uscire di casa se non accompagnata da un uomo. E non è tutto, purtroppo.

Le urla delle ragazze portate via dai talebani

La giornalista Cecilia Sala, che in una serie di storie su Instagram sta raccontando il ritorno degli “studenti di religione” nella capitale afghana, ha documentato le urla delle ragazze strappate alle loro famiglie e rapite, per essere portate via. Urla dolorosissime, per chiunque abbia una coscienza. Quanto sta succedendo in Afghanistan è qualcosa di terribile, che mette sul banco degli imputati quella civiltà occidentale che prima ha creato i talebani, in funzione antisovietica, poi li ha combattuti a suon di bombe per “esportare la democrazia” e adesso abbandona un paese al suo destino. Dopo decenni di vessazioni, politiche neocoloniali, guerre e diritti umani calpestati.

Gli slogan nostrani: “dittatura sanitaria”, “il ddl Zan cancella le donne”

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I poster di donne cancellati a Kabul

Torniamo per un attimo in Italia, adesso. E pensiamo alla qualità del dibattito pubblico, negli ultimi mesi. Vorremmo soffermarci su due concetti, che hanno tenuto banco nei talk show, nei programmi di approfondimento, nei servizi dei telegiornali e pure sulle infinite discussioni parlamentari. Concentriamoci su due slogan: “no dittatura sanitaria” e “il ddl Zan cancella le donne”. Abbiamo focalizzato questi due mantra? Benissimo. E adesso torniamo, solo per qualche istante, a quanto sta succedendo nel paese del medio oriente. Il quale sta vivendo uno degli eventi più drammatici della sua storia. Perché lì quei due termini, “dittatura” e “cancellazione”, hanno un significato più che concreto.

Laddove le donne le cancellano davvero: con la vernice

Gira da ieri l’immagine di un uomo che sta verniciando di bianco alcuni poster in cui si vedono delle donne, vestite con abiti da sposa. Sia ben chiaro: questa cosa qui, leggendo ciò che riportano le agenzie, non la stanno facendo i talebani. La stanno facendo i cittadini, per paura di ritorsioni. Ed ecco spiegato il significato della parola “dittatura”. La paura di esporre un manifesto, per il rischio di essere fucilati o lapidati perché una donna mostra il suo viso. E, se vogliamo dirla tutta, ecco spiegato anche il significato concreto e reale della parola “cancellazione”. C’è poca teoria, insomma. E c’è tutto il portato, tragico e crudele, dell’evidenza.

La vignetta con il talebano che usa gli asterischi

Ritorniamo, dunque, di nuovo in Italia. Gira in queste ore una vignetta – rilanciata dalle solite realtà trans-escludenti e queerofobe – in cui un talebano tranquillizza i suoi avversari usando l’asterisco e lo schwa. Non è una novità che nella narrazione di certo “femminismo” radicale ogni misura di buon senso venga tacciata di cancellazione del femminile. Dai bagni delle donne accessibili anche alle donne transgender, alle misure di contrasto alla misoginia e alla transfobia, fino all’utilizzo di un linguaggio più inclusivo possibile, è tutto un attacco alle donne. Fa parte di quel tipo di folklore ideologico, spacciato per esercizio di libero pensiero. Che però tale narrazione venga perpetrata sulla pelle di donne che verranno cancellate realmente, sotto un burqa nel migliore dei casi, dice molto sull’onestà intellettuale di chi la porta avanti.

Le insegnanti uccise, per aver istruito le ragazze

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La vignetta che ironizza sui talebani

In Afghanistan verranno cancellate molte cose: dai diritti delle donne alla dignità delle persone Lgbt+ che vivono lì, nascoste, e che rischiano la pena di morte. Dall’esercizio delle più elementari libertà individuali, al diritto allo studio. Laddove i talebani sono arrivati, ci raccontano le cronache delle ultime ore, hanno già chiuso università e scuole. In alcuni casi hanno ucciso le insegnanti che lavoravano nelle scuole femminili del Paese. A Herat hanno chiuso, appunto, l’ateneo cittadino. Lì il 60% del corpo studentesco era costituito da donne. Questa è dittatura. E non certo sanitaria. Questa è cancellazione. Dell’umanità tutta, oltre che dell’identità femminile.

Una vignetta che insulta le donne afghane

In Italia, oggi 16 agosto 2021, ci si può ancora prendere la libertà di scendere in piazza – senza mascherina – a lamentarsi della mancanza di libertà. E si può andare a sproloquiare sui social, nei talk show, nei programmi di approfondimento e financo nei tg sul fatto che una legge di civiltà cancellerebbe le donne. Con tanto di vignette vergognose e sostanzialmente cretine sull’uso di asterischi e schwa. Poi ci sarebbe anche molto da dire sul fatto che chi insegue questo tipo di narrazione, va poi a votare quei partiti che nel nostro paese sono quanto di più vicino al programma politico dei talebani: a cominciare dal ruolo della donna, ridotta a madre e a supplemento del patriarcato. O che certe realtà vengano poi audite da queste stesse forze politiche, per bloccare leggi di civiltà. E come al solito, si ha la sgradevole percezione che a certe latitudini politiche non importi nulla delle persecuzioni vere contro le donne. Anzi vengono perfino usate per fare ironia. Mentre altrove le donne le cancellano davvero. Mentre altrove la dittatura ti fa scappare e non ti obbliga a una mascherina, ma a coprirti il corpo per intero.

Dovremmo, da donne, persone Lgbt+, difensorə dei diritti umani, chiederci cosa possiamo davvero fare per sostenere le donne e la comunità arcobaleno in Afghanistan. E preoccuparci di contrastare le forme di sciacallaggio che già si profilano da parte di chi vede tutto in termini di “clandestini” in arrivo ai confini dell’Europa.

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