L’arrivo dei talebani a Kabul pone fine alla riconquista dei miliziani in Afghanistan. Non è la prima volta, infatti, che queste forze integraliste hanno preso in potere nel paese mediorientale. E per chi ha memoria del primo governo talebano, non è una novità scoprire che verrà reintrodotta la sharia – la legge religiosa basata sulla rigida interpretazione del Corano – e che a farne le spese saranno non solo le donne, ma anche la comunità Lgbt+ locale.
Per avere contezza di ciò che potrà accadere, oltre alle misure di cui abbiamo già dato notizia in un post precedente e che riguardano principalmente le donne, basterà ritornare sull’intervista che il sito Pinknews ha riportato il mese scorso. A parlare è un giudice talebano, che ha rilasciato le sue dichiarazioni a Bild, un giornale tedesco. Gul Rahim, questo il suo nome, ha detto che l’introduzione della legge islamica «era il nostro obiettivo e lo sarà sempre». E riguardo alle persone Lgbt+, queste le sue dichiarazioni: «Ci sono solo due sanzioni per i gay: o lapidazione o devono stare dietro un muro che gli cade addosso. Il muro deve essere alto da 2,5 a 3 metri».
L’Afghanistan non è l’unico paese in cui vige la pena di morte contro gli omosessuali (soprattutto i maschi gay). In diverse nazioni, per lo più di fede musulmana, è prevista la pena capitale con misure altrettanto spietate e disumane. Ma anche diversi paesi di fede cristiana hanno limitazioni e pene estremamente severe contro le persone Lgbt+. Ricordiamo, infatti, le persecuzioni in Uganda e, più vicine a noi, le legislazioni antigay in Russia, Polonia e Ungheria. La matrice è unica: il fanatismo religioso. Cambia il metodo, insomma, ma non la motivazione di fondo. Con intensità persecutorie e pene diverse, questo è anche vero, ma la pianta ha un’unica radice: quella della disumanità.