Ammetto che ieri guardavo un po’ distrattamente la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi a Parigi. Sono a casa dei miei, famiglia al completo e ben otto gatti a cui star dietro (i miei, anche loro in trasferta, più quelli dei miei genitori). Mentre magari aiuti tua madre a gestire le cose di casa, la tv non è proprio uno dei tuoi primi pensieri. Poi un’immagine ha catturato la mia attenzione. Non posso dire quale e in quale momento preciso. So solo che a un certo punto ho detto, tra me e me: “Ma sono io che mi inganno, o quella è una drag queen?”
Queerness olimpica
Da quel momento sono stato più attento. E lo show è andato come doveva andare: le squadre olimpiche a sfilare, il poderoso omaggio alle donne francesi che hanno fatto la storia della loro nazione (per capirci: da noi volevano fare una legge per vietare l’uso del femminile grammaticale negli atti pubblici), una conduzione Rai nel migliore dei casi imbarazzante con silenzi a orologeria, un momento di sincero affetto durante il passaggio della squadra palestinese sorridente e una queerness come mai si era vista a una celebrazione olimpica.
Olimpiadi, femminile plurale
Si dirà, anzi, si sta già dicendo: ma che c’entra tutto questo con le Olimpiadi? Che c’entra l’ultima cena rivisitata in chiave drag (è la polemica del momento)? Che c’entrano quelle performance a suon di disco dance anni ’90? Queste e molto altro si legge sui social. E la risposta è tanto semplice, quanto complessa: Paris 2024 ha semplicemente preso atto del cambiamento dei costumi e della società, in Francia come nel mondo. Può non piacere e a molti – il maschile esteso non è casuale – non piacerà, ma di questo si tratta. E bisogna farci i conti. E questa è la spiegazione facile, con cui già l’utente medio dei social sta litigando a suon di craniate sulla tastiera. Poi c’è quella complessa.
Proviamo a vedere un po’ il quadro generale. Partiamo dalle statue celebrative delle donne francesi che hanno fatto la storia. In tutto il mondo c’è un preoccupante avanzare di destre, ormai solo estreme, che fanno della negazione dei diritti delle donne e la loro riduzione a corpi partorienti un forte vessillo identitario. Questa scelta, politicamente così connotata (ottima, di per sé) manda un segnale chiarissimo alla narrazione “conservatrice”. La dimensione femminile è molto altro: è rivoluzione, è politica, è lotta per i diritti, è scienza, è arte. Poi dopo – e solo se lo si vuole – c’è la maternità.
Un’apertura che resterà nella storia
E ancora: la Marsigliese cantata da Axelle Saint-Cirel, mezzosoprano d’origine caraibica. Non bianca. E molte altre donne a occupare la scena durante l’accompagnamento canoro, di tutte le culture. In un contesto sociale, come quello francese (ma il discorso si può estendere all’intera Europa) dove la “mescolanza” viene vista come minaccia, le migrazioni come pericolo e la diversità come qualcosa che toglie valore alla “purezza” di una “nazione”. L’inaugurazione di Paris 2024 è anche una risposta – sempre politica – a un’ideologia fatta d’odio, razzismo e eurocentrismo.
Se a tutto ciò aggiungiamo anche che in questa edizione è prevista la parità di genere tra atleti e atlete, potremmo dire che basta questo per fare di queste Olimpiadi qualcosa che resterà nella storia. Ma la Francia ha voluto stupirci andando decisamente oltre. E aprendo, appunto, alle identità non conformi. Perché, piaccia o meno anche questo, l’umanità è un affare complesso. E ieri queste identità hanno trovato spazio in una narrazione che si è aperta al mondo. Anche quella parte di mondo dove se nasci omosessuale, rischi la pena di morte, come in Iran. O la galera, come nella cristianissima Russia. O la più banale ma non meno problematica e discriminatoria marginalizzazione, come nelle cattolicissime Ungheria di Viktor Orban e Italia di Giorgia Meloni.
Un paese bigotto (l’Italia)
Certo, c’è anche chi oggi urla alla blasfemia per la rivisitazione dell’Ultima cena, sempre in chiave queer. E su questo occorre soffermarsi ancora. Basterà farsi un giro per il web, sulle varie testate italiane, per leggere parole come “oltraggio”, “scandalo” e tutto l’armamentario lessicale che piace al solito esercito di benpensanti. Ci sarebbe molto da dire sul fatto di urlare allo scandalo solo perché si è rappresentato un momento della vita di Cristo con una donna corpulenta e alcune drag queen. La parola che riassume tutto è: bigottismo.
Siamo un paese bigotto e c’è molto da fare, sul piano culturale. Ma la rivisitazione dell’immaginario cristiano è qualcosa che fa parte della stessa storia dell’umanità. Così come a sua volta quello stesso immaginario ha adottato, rivisitato o addirittura stravolto altre tradizioni, coeve o precedenti. Fa parte della creatività umana. Se dà fastidio associare il femminile e le sessualità divergenti al corpo di Cristo le altre due parole da tirare in ballo sono: misoginia e omofobia. E basterebbe questo, per capire che l’errore di sistema è in chi agita lo scandalo, non in chi si appropria di un mito.
La reazione all’estero
Concludo con un’ultima considerazione. Mentre in Italia chi commenta – molti sono maschi, appunto – riproduce l’equivalente nazional-popolare dell’intramontabile “o tempora o mores”, all’estero la narrazione è molto diversa (esiste Google, per fare una veloce comparazione). “Parigi meraviglia il mondo sotto l’alluvione” per El Pais. “Una cerimonia d’apertura indimenticabile” per le Monde. “Una grandiosa celebrazione” per il Frankfurter Allgemeine Zeitung. Commenti altrettanto entusiastici dal Washington Post.
L’apertura dei giochi olimpici di Paris 2024 ha segnato un confine nettissimo, insomma, tra un prima e un dopo. Può non piacere e a molti non piacerà. Ce ne faremo una ragione.