Cara ministra Lorenzin,
mi sono imbattuta nella campagna promossa dal suo ministero per il “Fertility Day” e non posso proprio esimermi dall’indirizzarle alcune considerazioni che mi ronzano nella testa da quando ho visto immagini e slogan. Sarà che mi sono sentita bersaglio di questa campagna, in quanto donna quarantenne ed eterosessuale senza figli. Bersaglio, sì, perché la sua campagna lancia strali contro le donne.
La prima reazione l’ha suscitata quel “la bellezza non ha età, la fertilità sì” con tanto di clessidra che segna l’inesorabile passare del tempo. “Diamine, sono in ritardo, rischio di non farcela” viene da pensare. Ma in ritardo per cosa? Logico, lo spiega un’altra immagine: contribuire al “bene comune”, definizione che la sua campagna dà della fertilità. In sole due immagini, dunque, si concentra tutta la pressione sociale che una donna sente sulle sue spalle fin da piccola: sei nata per essere madre, tutto il resto che immagini per te e per il tuo futuro è un accessorio, se non un capriccio. Madre, prima di tutto. Perché questo è il tuo contributo alla società. Perché la maternità, cercata, voluta, consapevole, non è una scelta ma un dovere. Ne consegue che le donne che scelgono di non fare figli o che non possono averne, non sono cittadine al pari delle altre perché non contribuiscono al bene comune. Non adempiono al loro dovere. Un dovere dal retrogusto fascistoide, per cui io, donna, sono tenuta a mettere da parte tutto il resto in nome del contributo da dare alla società. Mi viene da pensare che siamo entrati in guerra e il suo governo non ha avuto il buon gusto di avvisare i cittadini e che, quindi, servano soldati per la patria. Ce lo dica, ministra, così intanto prepariamo l’oro dei gioielli di famiglia da fondere perché anche quello servirà alla patria.
Io faccio la giornalista, però, e sono abituata a tenermi informata: ecco, io la dichiarazione di guerra non l’ho letta sui giornali e non l’ho sentita nei TG, né me l’hanno sussurrata le mie fonti, in anteprima. Anzi, sempre le mie bene informate fonti, mi hanno ricordato che siamo nel 2016 e non nel 1940. Viviamo in un’epoca, insomma, in cui l’idea che una donna possa anche non avere figli (pensi, per scelta!) dovrebbe essere socialmente accettata e che non debba, per questo, avvertire su di sé tutta la pressione sociale né sentirsi giudicata come donna a metà. Lo dica, al suo staff, per la prossima campagna. Non vorrei domani leggere da parte sua messaggi di solidarietà alle donne vittime di violenza se non addirittura di femminicidio, perché è quello che succede a forza di far passare le donne per esseri inferiori, che si parli di incubatrici o di bambole gonfiabili.
Ora, ci rendiamo perfettamente conto che l’Italia ha un problema di natalità e che, per un governo, una società che non fa figli è una questione da affrontare e anche alla svelta. Ma dopo aver fatto questa constatazione, ha fatto il passo successivo? Cioè, si è chiesta perché le donne che vorrebbero, invece, non fanno figli? Io che mi confronto spesso con le mie coetanee e anche con donne più giovani e meno giovani di me, provo a darle qualche spunto di riflessione che, è evidente, deve esserle sfuggito. È probabile che una delle ragioni sia che una donna che voglia mettere al mondo un figlio con una certa consapevolezza, si ponga il problema di come mantenerlo, questo figlio. Perché il punto non è il concepimento e neanche i nove mesi di gravidanza, ma tutto quello che viene dopo. Lei che ha partorito da poco dovrebbe sapere che spesa comporta un figlio per una famiglia. E converrà, se sei precaria e non sai se il tuo contratto verrà rinnovato e per quanto tempo, è un po’ una follia farsi carico di un’altra vita che dipende esclusivamente da te.
Ma mettiamo il caso che tu non sia precaria. Il tuo stipendo, con ogni probabilità, sarà nettamente inferiore a quello di un tuo parigrado maschio, il che complica le cose perché è anche probabile che la retta del nido prima e dell’asilo poi sia di poco inferiore al tuo stipendio (provi lei a trovare posto in un asilo pubblico, se ci riesce). Se non puoi confidare sui nonni e non hai un sistema di welfare che attua davvero politiche per le famiglie, un figlio è un privilegio. Fossi in lei, poi, farei due chiacchiere con una donna qualsiasi, che non ricopre posti di potere (cioè la maggior parte). Magari le spiegherà che il senso materno cozza con la prospettiva di un futuro incerto e fumoso. Insomma, se metto al mondo un figlio, voglio farlo in una società in cui guardare al futuro non significhi pensare che la generazione che verrà dopo di noi sarà più disgraziata della nostra, che già è messa peggio di quella dei nostri genitori. Ma queste sono cose che sa chi conosce la società che governa, pratica ormai desueta. Comprensibilmente, anche. Perché a forza di stare rinchiusi nei palazzi della politica, si rischia di convincersi che il resto del mondo viva allo stesso modo, cioè circondato dai privilegi. E alla fine, ci si ritrova con gli occhi foderati di privilegio.
Viene da pensare, quindi, che la sua campagna sia diretta a quelle donne che un figlio possono permetterselo, economicamente e socialmente parlando. Però dubito che a loro serva che il governo ricordi che il tempo passa e che superata una certa età portare avanti una gravidanza diventa più complicato. A meno che non ci si rivolga alla scienza, chiaro.
Ma c’è un altro aspetto della sua campagna che merita attenzione, ministra. Come ho già detto, faccio la giornalista e ho anche il brutto vizio di avere la memoria lunga.
Ricordo perfettamente, infatti, che lei fa parte di quel partito che tanto strenuamente si è battuto contro la genitorialità delle coppie omosessuali (gay e lesbiche) ottenendo, complici dall’altra parte formazioni pavide e beceri calcoli di parte, lo stralcio della stepchild adoption dalla legge sulle unioni civili. Ricordo anche, perfettamente, che contro ogni buon senso e studio scientifico, lei stessa ha sostenuto che “tutta la letteratura psichiatrica, da Freud in poi, riconosce la necessità per un bambino di avere una figura materna e paterna” (voci di corridio dicono che il povero Freud non se ne sia ancora fatto una ragione), tesi sostenuta, appunto al solo scopo di negare la genitorialità alle coppie gay e lesbiche. Come funziona, ministra, fate figli sì, ma solo se siete eterosessuali? La fertilità delle donne lesbiche e degli uomini gay non è altrettanto utile, per la patria, come quella degli uomini e delle donne etero? Ma se non fosse chiara la contraddizione, le faccio notare un altro aspetto.
Vi siete battuti, lei e il suo partito (non da soli, ovvio) contro l’omogenitorialità agitando il fantasma del cosiddetto “utero in affitto” (che le persone civili chiamano gestazione per altri), delineando scenari apocalittici in cui le donne erano ridotte al loro solo utero usato come incubatore per mettere al mondo figli tanto innocenti quanto disgraziati. Ora la domanda è: davvero pensa che la sua campagna dia un’idea della donna diversa da “apparato atto a sfornare figli, e anche alla svelta”? Forse non l’ha guardata con attenzione. O forse dovreste decidervi, lei, il suo partito e il suo governo, perché onestamente, della presunta difesa della donna in malafede, a corrente alternata, di facciata, non sappiamo cosa farcene.
Vuole, lei e il suo governo, incentivare la natalità? Si preoccupi di una sana educazione sessuale nelle scuole (sia mai che poi debba ricodare alle donne che non possono fare figli a 70 anni, tanto vale spiegarglielo a scuola, no?); si preoccupi di una politica per le famiglie vera che vada oltre il contentino del bonus bebè e coinvolga tutti gli ambiti della vita di una famiglia e dei suoi figli (scuola, asili, sistema sanitario, supporto alle madri single, consultori ecc.); si preoccupi di diffondere una educazione di genere perché le bambine crescano sapendo di poter fare qualsiasi cosa vogliono, nella vita, anche ricoprire quei ruoli dirigenziali ancora troppo spesso riservati agli uomini e per i quali predendere la stessa retribuzione; si preoccupi, infine, di fare ripartire l’economia, davvero, in modo che le persone, le famiglie, le donne, possano progettare un futuro con serenità e scegliere se il prorio progetto di vita include o no dei figli. Scegliere. Perché fare un figlio è una scelta, non un dovere verso la patria. Ed è una scelta anche non farlo, senza che questo implichi essere considerata una donna a metà.
Ah, e i soldi per il “Fertility Day” (davvero l’avete chiamato così? Ammetterà che fa un po’ ridere in un paese in cui c’è una legge, la legge 40, che sostanzialmente impedisce di rimediare all’infertilità, no? ), magari usateli per evitare che chiudano i centri anti violenza.
A P P L A U S I
Articolo meraviglioso ! Speriamo che la Ministra lo legga e lo comprenda…
Articolo stupendo, grazie per aver dato voce a tutte noi!
Concordo in pieno con ciò che ha detto la signora Coppola. Non è bene che, in un Paese come il nostro in cui l’economia e’perennemente in ripresa (???) si esorti a fare figli quando non si riesce ad arrivare a fine mese neanche da single. Oppure chi come me npn può avere figli per via…naturale, ha capito che la fecondazione assistita costa troppo ed e’ invasiva e si è rassegnata a non averne ed adesso NON NE VUOLE SAPERE DI AVERE FIGLI si debba sentire discriminata/o. E l’eguaglianza sancita dalla Costituzione dove ce la mettiamo???
la ola!!! ti faccio la ola!!Grazie….
Bellissimo articolo, complimenti. Per quello che possa servire, l’ho condiviso sulla mia pagina Facebook. Grazie
Grande Articolo! Ma e’ possibile che abbiamo dei politici, che paghiamo coi nostri soldi (ricordate sempre), tanto imbecilli e decelebrati!?! Dovrebbero essere al nostro servizio ed essere di un buon livello …
io non sono riuscito a finirlo per quanto l’ho trovato banale.
Premesso che non stimo la Lorenzin e men che mai il governo che rappresenta.
Prima di tutto la deduzione che fa “Ne consegue che le donne che scelgono di non fare figli o che non possono averne, non sono cittadine al pari delle altre” è personale e non credo certo fosse il messaggio che ispira la campagna.
Seconda questione è un articolo incentrato solo ed esclusivamente sulle donne, come se mantenere un figlio fosse competenza solo di queste. Ma un figlio solitamente non si fa con la complicità di un uomo? un compagno? un marito? almeno nella maggior parte dei casi. se c’è una parte lesa non dovrebbe essere la coppia? perche è diventate una questione di genere? l’ennesima battaglia femminista?
Terzo punto, i discorsi sulle difficolta economiche sono sacrosanti ma è anche vero che nella maggior parte dei casi c’è una carenza di palle (io sono uno di questi). I miei genitori alla mia eta(33) avevano gia 3 figli ed avevano certamente meno certezze economiche di quante ne abbia io. non si capisce come mai le famiglie marocchine o kossovare nello stesso paese in cui viviamo noi fanno figli come conigli. Forse abbiamo in testa l’idea che cene fuori, vacanze, scarpe alla moda siano un bene primario a cui non si puo rinunciare. La rinuncia diventa il figlio.
Io sono un uomo di 33 anni, occupato, prossimamente sposato. Vorrei un figlio ma per il momento non l’ho fatto perche ho fatto altre scelte. Se lo facessi dovrei affrontare delle difficoltà economiche e non che potrei comunque superare con o senza l’aiuto dello stato a cui sinceramente non credo di poter dare la responsabilità della mia(nostra) assenza di palle.
In parte hai ragione, Andrea, quando dici che è per “mancanza di palle” che alcuni non vogliono fare figli. E meno male, perchè vuol dire che hai/avete consapevolezza di cosa vuol dire mettere al mondo e crescere dei figli.
Lasciando da parte l’aspetto economico – ci ritorno dopo – ci sono molte coppie che generano figli senza avere assolutamente idea di cosa questo comporti in termini di impegno e sacrifici. Quindi molto meglio “essere senza palle” ovvero coscienti delle responsabilità, che mettere al mondo un figlio che poi tratti come un tamagotchi.
Però l’aspetto economico e dei sevizi è importante.
Per anni ho pagato l’asilo nido – perchè io e mia moglie lavoriamo e non abbiamo i nonni che possono “tenerci i bambini ” – ben 500 eruo al mese. E non era un nido privato, ma del comune. CINQUECENTO EURO AL MESE, ti rendi conto? Praticamente una rata di un mutuo!
Poi inizia la materna e ti tocca pagare la mensa: 150 euro di iscizione e poi 4 euro al giorno per buono pasto. Ma oltre a questo devi portare a scuola carta igienica, rotoli di carta, carta per disegnare, fazzoletti – ovviamente dentifricio, spazzolino e sapone.
E tutti i servizi di trasporto? A pagamento, alcuni ridotti, ma a pagamento.
Lasciamo perdere il discorso di prospettive di lavoro per i giovani (in un paese dove di obbligano a morire sul posto di lavoro per non erogarti la pensione?)
A pensarci bene forse è più da incoscienti metterli al mondo i figli piuttosto che ammettere di non avere le palle di diventare genitori!
Oh, ben inteso, non rinnego la mia scelta di averne fatti due.
Però piutosto che spendere soldi in queste campagne sarebbe meglio che si mettessero in testa di attuare politiche sociali che invoglino davvero le coppie a generare nuovi pargoli.
ps: le famiglie marocchine e kosovare sono uno splendido esempio di come crescere i figli numerosi anche con poche disponibilità economiche. Ma se tutti consumassimo poco come loro, dove andremmo a finire?
Che valanga di stupidaggini!
Questo articolo inizia con uno straw man proverbiale accusando falsamente, nei modi più aggressivi possibili, la ministra Lorenzin di aver sostenuto una campagna di prolificità a tutti i costi, quando invece in tale campagna non si trova da nessuna parte l’idea che non esistano situazioni in cui è opportuno non procreare pur avendone l’opportunità, anzi si parla esplicitamente di procreazione « cosciente e responsabile ».
Ovviamente c’è anche un’intera parte dell’articolo farcita di vittimismo nel quale si insinua che la campagna della Lorenzin sia coercitiva in particolare nei confronti delle donne, benché facessero parte di essa anche slogan rivolti specificamente agli uomini ( https://pellegrininellaverita.files.wordpress.com/2016/09/fertility.jpg?w=700 ) e benché la stessa autrice ammetta che « il punto non è il concepimento e neanche i nove mesi di gravidanza, ma tutto quello che viene dopo. Lei che ha partorito da poco dovrebbe sapere che spesa comporta un figlio per una famiglia ». Per una famiglia, appunto, quindi anche per un padre.
C’è poi un ampio volo pindarico dove sulla scia di quel vittimismo che non ha ragione di essere si afferma che « Non vorrei domani leggere da parte sua messaggi di solidarietà alle donne vittime di violenza se non addirittura di femminicidio, perché è quello che succede a forza di far passare le donne per esseri inferiori, che si parli di incubatrici o di bambole gonfiabili ». Chissà perché non vengono citati i materiali propagandistici del FertilityDay nei quali sarebbe contenuta esplicitamente o implicitamente la convinzione dell’inferiorità femminile; forse perché NON ESISTONO?
Dato il carattere di questo sito internet non poteva mancare qualcosa sulla procreazione da parte di persone omosessuali: « La fertilità delle donne lesbiche e degli uomini gay non è altrettanto utile, per la patria, come quella degli uomini e delle donne etero? Ma se non fosse chiara la contraddizione […] ». Ora, si era appena parlato di procreazione responsabile. Evidentemente la ministra Lorenzin pensa che un bambino abbia bisogno di due figure genitoriali di sesso opposto, una tesi non certo da cestinare visto che prendendo in considerazione dozzine di studi sostenenti la tesi contraria ( https://nellenote.files.wordpress.com/2016/07/figli-di-coppie-omogenitoriali-e-outcomes-evolutivi.pdf ) si fatica a trovarne uno che non sia viziato da snowball sampling, o da campione estremamente ristretto, o da mancanza di campione di controllo, o da errata costruzione del campione di controllo, o da autovalutazione soggettiva e probabilmente influenzata degli stessi genitori. Anche se questa ipotesi fosse sbagliata non ci sarebbe alcuna contraddizione da parte della Lorenzin, ma al massimo un errore a motivo di falsità delle premesse.
E ovviamente non poteva mancare l’argomento della differenza salariale tra uomini e donne, nel quale però l’autrice si dimentica di ricordare che esso è dovuto almeno per la maggior parte alla maggior tendenza degli uomini a fare straordinari sul lavoro ed a scegliere campi di specializzazione meglio retribuiti. Certo sarebbe stato doveroso ed interessante discutere se questa differenza di scelte sia originata essa stessa da qualche discriminazione; così invece l’argomento è semplicemente trattato in modo semplicistico. Ed anche pretestuoso, dal momento che tipicamente i figli li tirano su un uomo ed una donna, e quindi per le necessità materiali del figlio non conta la differenza di salario tra i genitori, bensì la somma. L’intera osservazione sulla differenza salariale è irrilevante ai fini dell’argomento trattato in quella parte dell’articolo, ovvero le difficoltà economiche del mantenimento di un figlio.
Non poteva mancare neanche il gran finale: « Vi siete battuti, lei e il suo partito (non da soli, ovvio) contro l’omogenitorialità agitando il fantasma del cosiddetto “utero in affitto” (che le persone civili chiamano gestazione per altri), delineando scenari apocalittici in cui le donne erano ridotte al loro solo utero usato come incubatore per mettere al mondo figli tanto innocenti quanto disgraziati. Ora la domanda è: davvero pensa che la sua campagna dia un’idea della donna diversa da “apparato atto a sfornare figli, e anche alla svelta”? ». L’idea qual è? Che non ci siano differenze tra utero in affitto e felice prolificità in ambito familiare? No, apparte il fatto che in un caso si fa un figlio con una persona che si ama e nell’altro ci si fa pagare, che in un caso si mette al mondo una persona per crescerla e nell’altro per darla a gente che magari abita dall’altra parte del mondo, apparte questo direi che non ci sono molte differenze.
Io ho 42 anni e un figlio di 12, una casa (con un lungo mutuo ma non importa) un marito e un lavoro. Vista così sembrerebbe una vita quasi perfetta. Dico quasi perché mi hanno assillato per anni con “quando fai il secondo”. Mi sono sentita in colpa per anni perché io il secondo figlio proprio non lo volevo fare e alla fine ho deciso che non lo avrei fatto! E meno male! Il mio ragazzo e sanissimo ma fin da piccolo ci ha dato del filo da torcere per il suo difficile comportamento. A scuola è stata durissima: non imparava a leggere, a scrivere, non sapeva fare i conti, non imparava a le poesie e le maestre lo sgridavano e umiliavano continuamente dicendo che era svogliato. Lo abbiamo portato subito da un neuropsichiatra infantile (privatamente perché alla nostra ASL non c’era posto). La diagnosi costata più di 300 euro non ha portato a nulla perché era troppo piccolo. Cambiamo medico su indicazione delle maestre e altri 200 euro per farci dire che forse è iperattivo-disattento. Ma è ancora troppo presto. Abbiamo provato ad aiutarlo lo stesso e ogni seduta dallo psicologo ci costava 50 euro. Poi abbiamo optato per un progetto “family’s angels” cioè una psicologa che veniva a casa nostra 4 ore a settimana. Costo: 300 euro al mese. Finalmente alla nostra ASL si è liberato un posto ma…sorpresa! “suo figlio non ha nulla tutto a posto lo lasci stare!”. Intanto a 9 anni ancora fatica a leggere, a scrivere e a far di conto. Così cambiamo medico ancora (sempre a pagamento) e ci viene fatta una diagnosi per iperattività con la quale abbiamo tirato avanti fino alla prima media.
Quest’anno abbiamo conosciuto una brava dottoressa che però è a 20 km da casa nostra. Ha diagnosticato: dislessia, disortografia e ADHD con disattenzione. Porto da lei il nostro ragazzo due volte a settimana (privatamente) a fare i compiti e lei gli insegna come affrontare le sue difficoltà inoltre ci aiuta con il rapporto con gli insegnanti che per fortuna sono super disponibili (con alcuni di loro ci siamo sentiti pure a Ferragosto per la diagnosi) ma è una scuola paritaria (270 euro al mese). La diagnosi della dottoressa abbiamo dovuto farla avvalorare a pagamento (93 euro) da una asl.
Ora abbiamo messo in vendita la casa per poterci avvicinare di più sia alla scuola che alla dottoressa.
Inoltre una casa più piccola ci permetterebbe di abbassare il mutuo. Ma vendere è difficile e svendere non avrebbe senso perchè non riusciremmo a comprare poi.
Ecco tutto questo per dire perchè a volte non si fanno figli e che noi siamo pure fortunati che lavoriamo tutti e due (io part time per poterlo seguire) e riusciamo bene o male a far fronte alle spese ma è pur vero che non facciamo vacanze, che dal parrucchiere ci vado 2 volte l’anno, che non compro scarpe alla moda, che raramente ceniamo fuori e se ci andiamo è in paninoteca o in pizzeria…e che per fortuna siamo “formichine” che risparmiamo tredicesime e quattordicesime che ci vengono in aiuto quando ci sono quei mesi in cui le uscite superano di gran lunga le entrate.
Non mi sento però una “senza palle” per non aver più procreato.