Vivere sognando e non sognare di vivere: “Antologaia” di Porpora Marcasciano

Quando vai alle presentazioni di libri organizzate da qualche associazione Lgbt, li riconosci: capelli bianchi, a volte tinti; le rughe che, nonostante la profondità del tracciato, lasciano ancora trasparire una forma di giovinezza. Hanno un’aria particolare, uno sguardo severo, spigoloso, ma sognante. Sono coloro che nei favolosi anni Settanta hanno partecipato al movimento di liberazione omosessuale in Italia, ispirato dai newyorkesi “moti di Stonewall” del ’69. Molti purtroppo non ci sono più, traghettati via, ancora giovani, dagli anni Ottanta.

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Antologaia, di Porpora Marcasciano

Questi ragazzi e ragazze hanno lo sguardo dei reduci e dei rivoluzionari: nei loro libri, nelle loro conferenze cercano di ricostruire quella storia passata, provandone tutte le combinazioni in un gioco di incastri, di darvi un senso, per consegnarla a noi, affinché non vada perduta. Per molti la militanza ha assunto la forma più speculativa della scrittura saggistica, storiografica (ugualmente utile al miglioramento, alla lotta per i diritti che si combatte ancora oggi); ma non per lei, Porpora Marcasciano, che ha continuato la sua militanza all’interno del M.I.T. (Movimento Identità Transessuale) di Bologna, e che ha recentemente ripubblicato la sua AntoloGaia (Alegre ed., 2015).

Vivere sognando e non sognare di vivere è il sottotitolo del libro e mai espressione migliore è stata trovata per segnare l’orizzonte nel quale si mosse un’intera generazione di omosessuali e si consumò quella stagione di lotte. Quei ragazzi e quelle ragazze erano stufi di «sognare di vivere» e avevano deciso, sull’onda del Sessantotto e di quanto accadeva in America, di lottare per «vivere» davvero, aprendo anzi la possibilità di «vivere sognando», senza imporsi dei limiti legati alla tradizione o al pregiudizio presente, in una prospettiva utopistica, avveniristica, di ricerca.

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Porpora Marcasciano in una foto di repertorio

AntoloGaia non è un “libro di storia”: è una antologia degli episodi più significativi della vita dell’autrice, è una galleria di ritratti di uomini e donne dimenticati, è un’autobiografia da cui emerge il profilo di un’intera generazione. Il racconto inizia con la presa di coscienza della propria omosessualità in un paesino del beneventano, in cui Porpora era nata, e prosegue con il trasferimento a Napoli per studiare sociologia, poi a Roma e a Bologna. Così Porpora entra in contatto con la foga rivoluzionaria dei collettivi studenteschi e con alcuni personaggi tipici degli anni Settanta, come la Zanza, provocatrice di professione. Attraverso lo sviluppo della sua storia personale segnata da due tappe fondamentali (il riconoscimento della propria omosessualità e, poi, la scoperta della dimensione trans), Porpora fa luce sulla miriade di piccoli collettivi che animarono la scena del tempo, identificati attraverso sigle come «Vampire Gotiche Folli» oppure «Collettivo Frocialista Bolognese» da cui sarebbe nata l’esperienza del Cassero di Bologna, tutt’ora in corso.

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Porpora Marcasciano oggi

Accanto a questi gruppi ribelli che, sebbene caduti nel dimenticatoio, hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo e diffusione di una “cultura dell’emancipazione”, l’autrice racconta della nascita del FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) e del collettivo romano Narciso, di cui fu fondatrice. E così la narrazione prosegue fino agli anni Ottanta, al primo gay pride italiano, alla moda dei campeggi omosessuali, alle battaglie che portarono alla legge 164 del 1982 (quella sul cambio del sesso) e, nello stesso anno, alla cosiddetta «presa del Cassero»: per la prima volta l’amministrazione comunale concesse a un collettivo omosessuale una sede, il cassero di Porta Saragozza a Bologna. Ma il racconto della Marcasciano non va oltre il 1983, anno non casuale, anno del suicidio di Mario Mieli, figura centrale del movimento di liberazione omosessuale, anno che segna la fine di una fase, secondo l’autrice, della sua vita e della Storia. Secondo Porpora da allora sarebbe iniziato un periodo di regressione lenta e inesorabile, culminata negli anni più recenti con una normalizzazione-omologazione imposta dalle leggi del mercato.

Con Antologaia l’autrice ha voluto costruire una scialuppa per salvare non solo le storie, ma anche le parole di quegli anni «favolosi»: alla fine del libro troviamo un vocabolario dei termini gergali, scanzonati e irreverenti, usati da Porpora e dai suoi amici. È poi significativo il fatto che Antologaia non sia un saggio storico, ma un’autobiografia: gli studiosi di questo genere mettono in evidenza come, nel corso del XIX e XX secolo, l’autobiografia sia stata il genere più adottato non da personaggi celebri, come in passato, ma dagli emarginati, da coloro che rivendicano la loro identità, che mettono in discussione l’autorità (pensiamo all’importanza che ha rivestito l’autobiografia nella letteratura nera americana). Insomma non sbagliamo se consideriamo l’autobiografia il genere della ribellione.

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