Il chemsex è una pratica sessuale che prevede abbuffate di sesso della durata minima di 72 ore, trascorse senza dormire né mangiare, in uno stato costante di euforia ed eccitazione determinata dall’assunzione di droghe. Cristalli di metanefetamina, mefredone, GHB (gamma-idrossibutirrato) e GBL (gamma-butirolattone). E il sesso. Sono questi gli ingredienti principali del chemsex (letteralmente sesso chimico-sintetico).
L’associazione tra sesso e droghe, però, non è certamente un’invenzione recente, eppure il chemsex presenta delle caratteristiche che hanno fatto scattare l’allarme del Sistema Sanitario Inglese. Diffusosi prevalentemente tra gli omosessuali, oggi è praticato anche dagli eterosessuali e sta rappresentando un problema di salute pubblica non solo in Gran Bretagna, ma anche in altri Paesi, tra cui l’Italia. A segnalare l’allerta da chemsex sono stati alcuni medici dell’Nhs Foundation Trust che hanno pubblicato una ricerca sul Bristish Medical Journal.
“Il mefredone e i cristalli di metanfetamine sono degli stimolanti che aumentano il battito cardiaco e la pressione producendo euforia ed eccitazione sessuale, mentre il ghb è un potente disinibitore e un lieve anestetico”. Sembrano, così, emergere alcuni spettri. Quello della tossicodipendenza relativo alle sostanze d’abuso e quelli più legati alla sessualità: l’altissimo rischio di malattie sessualmente trasmesse, determinata dalla mancanza di inibizione causata dagli stimolanti assunti e la compulsività/dipendenza dal sesso.
Dalla ricerca è infatti emerso che chi utilizza tali sostanze avvertirebbe una maggiore eccitazione sessuale e avrebbe prestazioni sessuali ottime. Di 1142 risposte raccolte tra gli omosessuali londinesi, circa un quinto ha dichiarato di aver fatto chemsex negli ultimi cinque anni e un decimo nell’ultimo mese. La diffusione di questi party a base di sesso e droga avviene attraverso canali come le app di dating online dove gli utenti segnalano la propria disponibilità al chemsex usando la sigla “H&H” High and Horny, fatti ed eccitati; anche se ultimamente si vedono proprio messaggi del tipo “chem”. Diverse persone raccontano di aver perso intere giornate, di non dormire o di non mangiare anche per diversi giorni (fino a 72 ore). Inoltre, i dati suggeriscono che chi pratica chemsex in media fa sesso con cinque partner a sessione e molto spesso mancano le precauzioni.
Il tossicologo bolognese Salvatore Giancane afferma che “queste persone non riescono più a pensare una cosa senza l’altra, hanno una sessualità devastata, ma non sono dipendenti classici da sostanze. Dicono che il sesso senza droga è diventato in bianco e nero”, portando i soggetti coinvolti ad una doppia dipendenza, dalla droga e dal sesso.
In quest’ottica è logico pensare a quali possano essere gli effetti (negativi) sia a medio che a lungo termine sulla dimensione personale, relazionale e sessuale di chi pratica chemsex. Se il fattore droghe da un lato permette di sbloccare freni inibitori, timidezza, placare l’ansia da prestazione, permettendo di “lasciarsi andare”, dall’altro crea l’associazione forte nell’individuo che il sesso possa essere vissuto unicamente in questa modalità, trasformando in “noioso” tutto il resto.
Ma godere a pieno dell’esperienza erotico-sessuale significa in prima battuta essere coscienti in ogni momento del rapporto sessuale, anche quando si vive la sessualità in maniera trasgressiva che non vuol dire, in alcun modo, inconsapevole o completamente incontrollata. Il rischio (o la paura?) più grande, forse, rimane quello del “distaccarsi” dal momento, per “non sentire” l’altro con cui si entra in contatto, perdendo alcune parti dell’incontro sessuale legate più ai vissuti emotivi che non ai comportamenti sessuali, vivendo un “sesso a metà”.
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