Dare dell’omosessuale a qualcuno, anche se non gay, non è reato: lo ha stabilito la corte di Cassazione con una recentissima sentenza per una vicenda tra due uomini in lite tra loro per motivi legati alla moglie di uno dei due. Carlo Alberto Chichiarelli, che aveva definito l’altro come “omosessuale” in una precedente querela, era poi stato condannato per diffamazione il 20 marzo 2015, al Giudice di pace di Trieste. Oggi la Suprema Corte ha però ribaltato il verdetto.
«Nel presente contesto storico il termine “omosessuale”», si legge nella sentenza, non può essere inteso con «un significato intrinsecamente offensivo». Al contrario di altri termini – che possono avere, invece, una valenza denigratoria – la parola in questione è pienamente entrata nell’uso, in quanto descrive le «preferenze sessuali dell’individuo», assumendo così «un carattere neutro».
«È innanzi tutto da escludere che il termine “omosessuale” utilizzato dall’imputato abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto», dichiara ancora il giudice che sdogana così, definitivamente, il termine relativo all’identità sessuale. Una buona notizia, in altre parole, che però non risolve una curiosità: quale sarebbe, ai fini di una querela o di un qualsiasi atto giudiziario, la necessità di definire l’orientamento della persona che si vuole portare in giudizio? Aspettiamo di leggere, a tal proposito, le motivazioni della sentenza.