Luca ha una bambola che chiama “la mia piccola” e si prende cura di lei da bravo papà: le fa fare i giri col passeggino, le cambia il pannolino, la consola quando piange, la fa addormentare cantando per lei, le dà il latte con il biberon e le fa fare perfino il ruttino mettendo una piccola pezza sulla propria spalla.
In pratica Luca con la sua piccola fa esattamente le stesse identiche cose che facciamo io o mio marito Sergio con la nuova arrivata di casa, Alice.
Quello è solo uno dei suoi giochi preferiti.
Gli altri sono leggere i libri, suonare con la chitarra o il tamburo, fare il cuoco, fare i lavori in casa con martello, sega e cacciavite, e poi più di ogni altra cosa giocare con le macchinine, gli aerei e con i treni che fa sfrecciare nella sua grandissima pista di legno super accessoriata.
Non c’è stato un solo istante in cui ho pensato che alcuni giochi fossero adatti a lui in quanto di sesso maschile e altri no.
Eppure c’è chi ogni giorno questo lo decide per noi.
La bambola e il passeggino, ad esempio, erano in uno scaffale pieno di giochi che l’industria dei giocattoli ha deciso debbano essere destinati alle sole bambine.
Il passeggino poi, neanche a dirlo, è rosa e quando sua zia Mara glielo ha regalato rendendolo felicissimo (anche perché dentro aveva messo un enorme peluche raffigurante l’orso di Masha e Orso) mio padre aveva storto il naso.
Poche settimane fa, sull’argomento, è uscito uno studio interessantissimo, realizzato da Coface, network di associazioni europee che rappresenta gli interessi di tutte le famiglie in Europa (e presso il Parlamento Europeo) e coordinato da una bravissima ricercatrice italiana, Paola Panzeri.
Lo studio, preceduto da una campagna social con lo stesso hashtag, si chiama Toys and Diversity e potete leggerlo integralmente e anche scaricarlo a questo link.
Cosa dice lo studio
Con l’aiuto delle ONG che sono membri della rete di COFACE, con l’esperienza della campagna inglese “Let Toys Be Toys” e con il supporto scientifico di due professoresse universitarie, (Elisabetta Ruspini dell’Università di Milano Bicocca e Mia Heikkila dell’Università svedese di Malardalen) sono stati raccolti i cataloghi di giocattoli di 9 diversi paesi e sono stati analizzati, lungo l’arco di un anno.
I risultati (dopo che sono state analizzate le immagini di 3125 bambini in 32 cataloghi di 9 paesi: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Gran Bretagna) fanno molto riflettere ma sono in parte – purtroppo – un po’ scontati. Ce li spiega nel dettaglio proprio Paola Panzeri.
“Più di un terzo dei cataloghi (il 37.5%) era diviso in sezioni “per maschi” e “per femmine” – spiega la ricercatrice -. Venti cataloghi non avevano questa divisione formale ma le sezioni e i giocattoli per maschio/femmina erano facilmente individuabili con il colore delle pagine (rosa e colori pastello per le bambine, colori più scuri e marcati per i bambini), dall’associazione di giocattoli nella stessa pagina (bambole e peluche per le femmine, treni e dinosauri per i maschi).
I maschi erano almeno due terzi dei bambini presenti in 5 sezioni (su 13 in cui era diviso il nostro questionario): videogames (67%), costruzioni (69%), droni (72%), macchine e mezzi di trasporto (74%), guerra e armi (88%). Le femmine erano più di due terzi del totale solo in due sezioni: attività di cura, bambole (87%) e prodotti di bellezza (94,5%). Nelle altre sezioni, sebbene i numeri siano più bilanciati, si possono vedere delle grandi differenze guardando con quali giochi sono rappresentati i maschi e le femmine all’interno della stessa sezione (es. nella sezione “animali” i maschi giocano con dei dinosauri, le femmine coi peluches)”.
I maschi super eroi, le femmine principesse
“La sezione dei costumi e maschere è particolarmente interessante – continua Panzeri -: nei cataloghi divisi tra maschi/femmine, la sezione per maschi aveva costumi per supereroi, personaggi di film e cartoni animati e professioni, come dottore, pompiere, poliziotto. La sezione per femmine aveva un numero ridotto di personaggi dei cartoni e professioni e un altissimo numero di principesse. Nei cataloghi formalmente non divisi, maschi e femmine apparivano vestiti, in pagine diverse, con lo stesso tipo di vestiti proposti nei cataloghi con categorie separate. Due proposte quindi completamente diverse”.
“Ma se scegliamo noi per loro, proponendo solo una parte delle maschere e dei costumi disponibili – si chiede retoricamente la ricercatrice -, non stiamo influenzando le loro scelte? Non stiamo già dicendo come “è normale” che si immaginino?”.
“Su un catalogo, un’immagine rappresentava una ragazzina appesa a un muro – spiega -, fissata con del nastro adesivo, per lasciare un ragazzino giocare tranquillamente. È importante ricordare che un’immagine, anche una sola, che rappresenti bullismo o potenziale violenza, è già troppo. Queste immagini che suggeriscono violenza, abuso, o bullismo devono essere assolutamente evitate. Sui 3125 bambini, 2908 sono stati identificati come bianchi, 120 neri, 59 di famiglie miste, 31 asiatici, 7 medio-orientali. Su 3125 bambini, nessuno aveva disabilità visibili.”
6 raccomandazioni per chi produce e vende giochi
In coda allo studio, Coface lancia 6 importanti raccomandazioni per guidare tutti coloro che sono coinvolti nella produzione, marketing e vendita di giocattoli:
1. Lasciamo che siano i bambini a decidere con cosa giocare: NO alle divisioni in sezioni per maschi e per femmine.
2. Non indirizziamo i bambini verso professioni e ruoli stereotipati: lasciamoli immaginare e impersonare chiunque vogliano essere.
3. Uniamoci per combattere la violenza contro le donne e il bullismo: NO a immagini o comportamenti violenti.
4. Rappresentiamo le famiglie nella loro diversità.
5. Anche i bambini disabili giocano ma ora sono invisibili: SI alla loro inclusione nel mondo dei giocattoli.
6. Bambini e diversità etnica: è il momento di avere una rappresentazione realistica di tutti i bambini.
Come ho scritto diverso tempo fa in un mio pezzo sull’educazione alle differenze e lo spauracchio del gender, è davvero importante che i bambini, fin da piccolissimi, imparino a confrontarsi con la diversità per capirne la ricchezza. I bambini devono comprendere fin da piccoli che la diversità biologica fra “maschi” e “femmine” non può e non deve voler dire diversità di ambizioni e possibilità, né che le bimbe debbano diventare un giorno “spose sottomesse” a uomini forti e senza paura.
I nostri figli devono avere la possibilità di sentirsi liberi di esprimere in modo pieno la propria personalità, senza essere condizionati da pregiudizi e stereotipi.
Oggi, che sono padre di un bimbo e di una bimba, sento ancora di più il peso di questa responsabilità di genitore e adulto… e mi rendo conto che ancora c’è tanta strada da fare!