Si addensano ancora nubi sul Dolomiti Pride, e non sono quelle belle e poetiche che ci regala la natura. Dopo le polemiche sul patrocinio mancato, a lanciare altri strali contro la manifestazione è nientepopodimeno che Arcilesbica Trentino Alto Adige L’Altra Venere. Niente di serio, insomma. Ma la vicenda presenta alcune singolarità su cui è il caso di soffermarsi.
A riportare la notizia è il sito Lezpop.it, in cui si legge: «Arcilesbica Trentino ha accusato gli organizzatori di promuovere “pseudo-diritti, basati su desideri, compreso quello della genitorialità, che andrebbero discussi criticamente”» e quindi «di nuovo, pomo della discordia sono la Gpa (che in Arcilesbica si ostinano a chiamare “utero in affitto”) e il sex work – anche quando si tratta di prestazioni sessuali offerte a persone con disabilità, nell’ambito di servizi di assistenza sociale».
Insomma, per le attiviste trentine, il pride alpino esprime «la volontà di schierarsi dalla parte della “committenza gay […] benestante e borghese contro gli interessi delle donne e dei minori“». Si scomoda, insomma, la solita rappresentazione del gay ricco (ed egoista) che va a comprare bambini. Questi ultimi implicitamente ridotti a poveri disagiati. E le donne che decidono spontaneamente di avviare una Gpa, invece, come povere inconsapevoli. Tutte le categorie citate, e offese, ringraziano. Il documento postato su Facebook dalle “lesbiche estreme”, intanto, è già finito nel tritacarne mediatico, per andare contro l’intero pride delle Dolomiti. E grazie mille anche per questo assist.
Alcuni aspetti vanno messi nella giusta luce, in questo ennesimo attacco contro la comunità Lgbt. E riguardano la qualità politica del dibattito e l’identità di chi lo agita. Partendo da quest’ultimo aspetto, si ha la spiacevole sensazione che essa sia basata su un reiterato processo di negazione. Le lesbiche estreme sembrano “non essere”, più che somigliare a qualcosa. E sembrano aver sviluppato un’elaborazione basata sui divieti e l’esser contro: contro i padri gay, i loro figli, le donne che si autodeterminano, il sex work, le persone disabili, le persone trans, ecc.
Riguardo la qualità degli argomenti addotti, poi, sembra di leggere le veline dei soliti siti e personaggi anti-gay. Quelli che ai tempi delle unioni civili parlavano appunto di “falsi diritti” e ribadivano che “i desideri” non potevano assurgere, in quanto tali, a rivendicazione. Adesso, sarebbe curioso capire quali titoli hanno queste signore per stabilire cosa è un diritto “vero” e cosa no. Ma mi sembra, e correggetemi se sbaglio, che un pilastro della lotta per la liberazione – sessuale, identitaria, Lgbt, ecc – è proprio la liceità dei propri desideri.
Insomma, niente di nuovo sotto il sole, che speriamo splenda alto sulle Alpi il prossimo 9 giugno. Un’ultima considerazione va fatta, di fronte all’ennesimo episodio di intolleranza da parte di un’associazione di fatto morente (si veda: identità in negativo) e, forse, proprio per questo incattivita (si veda: adozione del discorso omo-trasfobico): coloro che dicevano che Arcilesbica si pone da sola fuori dalla comunità e dal movimento Lgbt hanno un argomento in più per suffragare la loro affermazione. Fatti – pardon, comunicati – alla mano.
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