Servizi igienici gender free in municipio, linguaggio inclusivo sui documenti istituzionali e dell’Ausl, la possibilità di utilizzare l’alias sul proprio cartellino di lavoro per chi fosse in corso di cambio genere e corsi di formazione per insegnanti di scuola o dipendenti per sensibilizzare sull’argomento.
È quanto stabilisce il protocollo operativo per il contrasto all’omontransofobia e omotransnegatività e per l’inclusione delle persone Lgbti – il primo in Italia – firmato ieri a Reggio Emilia da diverse realtà istituzionali della città che durerà cinque anni.
Hanno aderito Arcigay, Comune, Provincia, tribunale, istituti penali, Ausl, università Unimore, ufficio scolastico territoriale, istituto scuole e nidi d’infanzia, Fondazione per lo Sport e la fondazione Mondinsieme.
“Siamo grati alle istituzioni e gli enti che hanno capito l’importanza dell’inclusione concreta delle persone Lgbti, per inviare segnali positivi che incoraggino il coming out tra gli utenti e prima ancora tra i propri lavoratori e lavoratrici” ha dichiarato Alberto Nicolini, presidente di Arcigay Gioconda: “Auguriamo a tutte e tutti noi di essere all’altezza dell’esperienza di un impegno concreto a tutto tondo, dall’accoglienza delle coppie di genitori gay e lesbiche negli asili che già ci sono a Reggio Children fino alle carceri che aprono le porte alle associazioni che vogliono portare sostegno alle persone ospitate nella sezione trans regionale a Reggio” e ha concluso: “Con questa firma ci ricordiamo ancora una volta di quanto ci serva la legge regionale contro le discriminazioni Lgbti scandalosamente arenata per giochi ideologici fatti sulla nostra pelle. È tempo di legge, e oggi lo dice Reggio Emilia tutta”
Presenti durante la firma del protocollo il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni, l’assessore regionale alle pari opportunità Emma Petitti, il sindaco di Reggio Luca Vecchi, l’assessore Natalia Maramotti e la psicologa Margherita Graglia, esperta sui temi dell’orientamento sessuale che ha partecipato alla stesura del documento.
Si tratta del primo protocollo di questo tipo a livello nazionale. Tutti gli enti si impegneranno con azioni precise a seconda della loro funzione. Un protocollo di 100 punti, tra questi, oltre alla già citata toilette neutrale, anche l’abbattimento del firewall sulla rete internet interna ed esterna, affinché non ci siano censure su parole come «gay», «lesbica» o «transessuale». Oppure la predisposizione da parte del servizio biblioteche comunali, di una bibliografia sui temi dell’orientamento omo/bisessuale. Infine università e Ausl – tra gli altri – offriranno la possibilità di utilizzare l’alias per chi è in una fase di transizione sul proprio cartellino lavorativo o sulla Student Card.
Il New Yorker tempo fa pubblicò un articolo che ragionava sulla separazione dei bagni pubblici. Il dibattito su questo argomento, scriveva la giornalista Jeannie Suk, è da sempre piuttosto vivace: non ha semplicemente a che fare con la discriminazione che questa separazione comporta e con il conseguente riconoscimento dei diritti delle persone intersessuali, transessuali e transgender, ma anche con una visione paternalistica nei confronti delle donne. Le implicazioni di questa discussione quindi vanno ben oltre i bagni, avverte Suk. «I servizi igienici saranno nel prossimo futuro i nuovi campi di battaglia per le questioni di genere e sessualità».
Inoltre spesso, i bagni “neutrali” sono una garanzia anche per le famiglie (bambini che necessitano di essere accompagnati in bagno da persone di sesso diverso) e per le persone diversamente abili (che possono avere bisogno di assistenza sempre di persone di sesso diverso dal loro) che, altrimenti, si troverebbero a disagio o, addirittura, sarebbero costretti a rinunciare all’utilizzo della toilette.
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