L’anno scolastico è già cominciato, ma non per cinquanta bambini bengalesi residenti in Friuli Venezia Giulia. Grazie a un provvedimento adottato dal comune di Monfalcone, si è stabilito un tetto massimo del 45% di iscritti stranieri per classe. Anna Maria Cisint, sindaca leghista, si dice entusiasta: «Siamo orgogliosi di questo provvedimento in difesa dei bambini, perché nell’equilibrio si ottiene un risultato migliore». E come sempre, quando si fa qualcosa di abominevole – come togliere il diritto all’istruzione a individui per il semplice fatto che essi non sono di origine italiana – viene fuori l’interesse del bambino.
Eppure non parliamo di “clandestini” – e si premette: nemmeno la condizione di irregolarità giustificherebbe il razzismo – ma di immigrati regolari: «Ogni giorno si fa una croce sull’elenco, quando arriva la certezza della rinuncia. I bambini hanno tre anni e sono i figli delle “famiglie Fincantieri”, gli operai dei subappalti dei subappalti Fincantieri» leggiamo su Repubblica. Insomma, il principio sacrosanto per cui tutti e tutte sono uguali di fronte alla legge, sancito dall’articolo 3 della Costituzione, viene mandato in soffitta dall’ennesima amministrazione leghista.
Non è il primo caso in cui il nuovo corso leghista miete vittime tra i “diversi”. A livello regionale, infatti, la giunta guidata dal governatore Fedriga ha deciso a luglio scorso di uscire dalla Rete Ready, in quanto scuole e famiglie «hanno strumenti sufficienti per insegnare e trasmettere i valori del rispetto e della diversità» come dichiarato dall’assessora al lavoro, famiglia e istruzione, Alessia Rosolen. Coerentemente con questo passaggio, la giunta leghista ha negato i finanziamenti ai progetti contro l’omofobia e il bullismo nelle scuole, sempre a luglio scorso.
E come se non bastasse, è di qualche giorno fa a Udine la notizia che la commissione pari opportunità del Comune ha ha deliberato l’abolizione delle identità alias per i/le dipendenti in transizione. Insomma, il Friuli Venezia Giulia rischia di diventare il laboratorio politico per l’Italia che verrà, secondo come la intende una delle forze principali – se non vogliamo dire la più influente – del “governo del cambiamento”: quell’Italia in cui si comincia a prendersela con i gay, si continua con le persone trans e si arriva ai migranti.
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