«Se dovessi far ritorno in Brasile temerei costantemente per la mia vita», ha dichiarato alla commissione per il riconoscimento della protezione internazionale una cittadina brasiliana transessuale di 38 anni. Racconta in poche parole cos’è diventato il Brasile di Jair Bolsonaro. Alla luce di questo è stato concessa la protezione internazionale.
La commissione di Bologna ha stabilito che se lo Stato di provenienza non è in grado di proteggere, o non vuole farlo, le persone Lgtbi anche solo per una visione politica dichiaratamente sessista e omofoba, quello di accoglienza è legittimato a concedere lo status di rifugiato politico.
Come si legge nella decisione: il suo Stato d’origine, cioè il Brasile, nonostante “importanti passi in avanti in termini di tutela giuridica contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, non si è sempre dimostrato capace o disposto a proteggere le persone Lgtbi da aggressioni e atti persecutori, sia a causa della cultura machista del Paese, che per le pesanti influenze religiose nel discorso pubblico“.
Con questa motivazione la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna ha accolto la richiesta concedendole lo status di rifugiata.
Lo riporta il Corriere di Bologna. La commissione ha ritenuto che, alla luce delle dichiarazioni e delle informazioni fornite, sussiste il fondato pericolo di persecuzioni in caso di rientro nel Paese. Nel ricorso presentato dall’associazione MigraBo, nata nel 2012 con lo scopo di aiutare e assistere le persone immigrate Lgbti, è stata sottolineata la condizione delle persone transessuali in Brasile, oggetto di discriminazione sociale e atti persecutori, che mettono a rischio la vita. Una condizione precipitata con l’avvento sulla scena politica di Jair Messias Bolsonaro, eletto presidente lo scorso gennaio.
Come già raccontato da GayPost il numero delle persone LGBT uccise dopo l’elezione di Bolsonaro è salito del 30%. Solo nell’ultimo anno si contano 445 morti (58 i suicidi).
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