Il candidato gay alle elezioni tunisine? Per la comunità lgbt+ locale è “non solo una minaccia, ma anche un grande pericolo per la nostra comunità”.
Lungi dall’essere unitaria e condivisa, la candidatura di Mounir Baatour, avvocato e cofondatore dell’associazione “Shams” che chiede la depenalizzazione dell’omosessualità nel suo paese, è alla base di una mobilitazione delle altre associazioni contrarie alla sua discesa in campo.
Intanto, però, l’Alta Commissione Elettorale Indipendente ha rigettato la sua candidatura. Secondo la commissione, Baatour non avrebbe raccolto le necessarie 10.000 firme di elettori a suo supporto. Ma l’avvocato 48enne ne ha presentate 19.565. Per questo il suo commento è che “le motivazioni della commissione “non sono chiare né spiegate”.
Un sospiro di sollievo, probabilmente, per il resto della comunità lgbt tunisina, fortemente contraria alla candidatura di Baatour e, soprattutto, alla rappresentazione che ne è stata data sui media.
“Comprendiamo quanto possa apparire incoraggiante avere qualcuno apertamente della comunità LGBTQI+ che si candida alle elezioni presidenziali in un paese dove l’omosessualità è ancora illegale – sottolineano – ma non supporteremo mai qualcuno solo per la sua sessualità, la sua identità di genere, la sua espressione di genere senza che si comprenda fino in fondo la sua azione”.
Ma perché associazioni come Chouf, Mawjoudin, Collectif des trans Outcast, Alwani, Mouja, Gayday Magazine, Honna, Collectif Chaml, Association pour la promotion du droit à la différence (ADD), By Lehwem, Without Restrictions sono così contrarie a Baatour?
A spiegarlo sono le stesse organizzazioni nel testo della petizione con accuse durissime.
“Sono numerose proteste contro Mounir Baatour, arrivate da molte persone LGBTIQ+, che sono state usate e abusate sessualmente (molte della quali minorenni) approfittando della loro situazione di fragilità e vulnerabilità” si legge nel testo della petizione.
Baatour è anche accusato di usare “strategie di outing” che non rispettano la privacy delle persone e le mette in pericolo. “Condanniamo i discorsi omofobici e transfobici – spiegano le associazioni -, ma crediamo anche che l’outing non sia mai il modo migliore di condurre la battaglia”.
Secondo i firmatari della petizione, inoltre, l’associazione presieduta da Baatour ha più volte violato la privacy diffondendo dati personali di alcune persone LGBT+ senza il loro consenso solo per avere visibilità mediatica, ma mettendo quelle persone in pericolo.
L’ultima accusa è quella di “normalizzazione sionista, che è contro la nostra etica e i nostri valori”.
Con la petizione, le associazioni firmatarie chiedono supporto alla loro posizione, ma soprattutto auspicano che l’immagine data finora di Baatour come rappresentante della comunità LGBT+ tunisina venga smentita e confutata.
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