Chiamare i ragazzi e le ragazze trans con il nome che loro hanno scelto per se stessi riduce la possibilità che tentino il suicidio del 65 per cento. Lo rivela uno studio pubblicato sul Journal of Adolescent Health.
Lo studio, condotto dai ricercatori Stephen T. Russel e Amanda M. Pollitt del Dipartimento dello sviluppo umano e di Scienze della Famiglia dell’Università di Austin (Texas), Gu Li dell’Università della British Columbia (Canada) e Arnold H. Grossman dell’Università di New York, ha esaminato un campione di 129 ragazzi e ragazze transgender o di genere non conforme di tre città degli Usa. I ricercatori hanno valutato il loro uso del nome tra casa, scuola, lavoro e amici. Il dato è stato poi confrontato con la depressione e con l’idea e il comportamento suicidi.
Il risultato non sorprenderà chi si occupa di questi temi da tempo: se paragonati a coloro che non possono usare il nome scelto in tutte le situazioni, coloro che invece possono farlo presentano segni di depressione inferiori del 71 per cento.
Inoltre, i ricercatori hanno osservato che i pensieri suicidi scendono del 35 per cento e i tentativi di togliersi la vita calano addirittura del 65 per cento.
“Molti bambini che sono transgender hanno scelto un nome diverso da quello che è stato loro assegnato alla nascita – osserva Russel -. Abbiamo dimostrato che più sono i contesti o le situazioni in cui possono usare il nome che preferiscono, più la loro salute mentale è solida”.
Lo studio fa eco a diversi studi sui giovani e le giovani lgbt+ e il tasso di suicidio.
L’ultimo in ordine cronologico è quello dell’Università Bicocca di Milano secondo cui tra i giovani e gli adolescenti lgbt+ il rischio di suicidio è più elevato di 3 volte e mezzo che tra gli etero.
Nello specifico, sono proprio le adolescenti e gli adolescenti trans a correre il rischio maggiore, seguiti dai bisessuali e dagli omosessuali.
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