Il ddl Zan è solo un pretesto. Come per molti, allora, furono le unioni civili. Quello che si sta consumando sulla pelle delle persone LGBT+, delle donne e delle persone con disabilità è l’ennesimo scontro tra nemici politici. Una guerra tutta interna al presunto centrosinistra tra “chi vuole affossare chi” e usa l’agenda parlamentare per farlo.
Non i programmi, non le idee, non le elezioni che sarebbero strumenti legittimi per battere gli avversari.
Che tra Renzi e Letta non corra buon sangue è cosa nota dai tempi di #enricostaisereno. E non è cambiato granché da allora. Basti pensare alle parole di circostanza con cui Letta ha descritto l’incontro con Renzi, subito dopo la sua elezione a segretario del Pd. Un incontro “franco e cordiale”.
Ma, molto più esplicitamente, era stato lo stesso Renzi, a novembre del 2019, a dichiarare guerra al PD fondando Italia Viva.
“Faremo ai dem quello che Macron ha fatto ai socialisti francesi – aveva dichiarato l’ex sindaco di Firenze -. Vogliamo assorbirne il consenso per allargare al centro e alla destra moderata”. E aveva aggiunto anche la tempistica: “Il disegno è dichiarato e io penso che nei prossimi tre anni si realizzerà”. Da allora è passato un anno e mezzo: siamo a metà del guado.
Letta è stato molto chiaro, nel suo discorso di insediamento come segretario del Pd: i diritti, per la sua segreteria, hanno un ruolo determinante. Anche se non si era espresso chiaramente sul DDL Zan, in quella sede, aveva però esplicitamente condannato le posizioni omofobe di paesi come la Polonia. Sulla legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo, il segretario si è espresso senza tentennamenti nei giorni successivi. E poi la cittadinanza a Patrick Zaki e lo ius soli.
Ed è su questi temi che è più facile, più mediaticamente efficace, fare “cadere” un avversario. E basta poco, molto poco.
Basta, ad esempio, proporre di modificare una legge come il DDL Zan sapendo perfettamente che è ormai troppo tardi e che farlo significa, di fatto, affossare quella legge. Una legge che si aspetta da 30 anni. Ma che importanza ha? Non è, davvero, il contenuto della legge il punto. Nei corridoi di Palazzo Madama ne sono convinti: è una strategia precisa.
Perché se così fosse, ci sarebbe stato tutto il tempo, nei 12 mesi in cui il testo è stato alla Camera, per aprire un dibattito sulle modifiche. Così non è stato. Eppure le critiche che arrivano oggi da certe realtà non sono nuove. Erano già state avanzate prima del voto a Montecitorio. Allora, però, la maggioranza a supporto del ddl tenne: Pd, M5S, Leu e IV votarono compatti e il testo passò.
Cosa è cambiato da allora? La maggioranza di governo e il segretario del Pd, ad esempio. Non che Renzi e Zingaretti fossero grandi amici, sia chiaro. E infatti Italia Viva nasce ai tempi di Zingaretti, insieme alla dichiarazione di guerra al Pd. Ma Letta, proprio no.
Tutto, innegabilmente, condito dalla sponda che gli ex renziani offrono al leader di Italia Viva direttamente da dentro il Partito democratico. Discorso vecchio, anche questo. Ricordate chi c’era tra i maggiori oppositori alla stepchild adoption? La senatrice Di Giorgi, renziana della prima ora (che, ad onor del vero, adesso si sta battendo per la legge Zan). La strenua resistenza di Andrea Marcucci a cedere il posto di capogruppo al Senato ad una donna, come richiesto da Letta, è una testimonianza di quella sponda. Certo, alla fine è andata Simona Malpezzi, ex renziana anche lei. Ma quale maggiore sconfitta per una presidente donna voluta dalla segreteria che perdere la partita sul Ddl Zan? Renzi è uno che non si fa scrupoli: se c’è da “sacrificare” qualcuno dei suoi, pazienza.
E Letta ha rischiato di perdere anche sulla cittadinanza a Zaki, votata all’unanimità (sarebbe stato molto complicato spiegare un’opposizione, per IV), ora in mano a Draghi che ha chiaramente fatto capire che di non essere interessato alla questione. Poi è intervenuto il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova dicendo che il Governo ha iniziato le verifiche per concedere la cittadinanza allo studente. Forse, su quello, non tutto è perduto. Forse. Sullo ius soli non c’è da fare alcuna fatica: semplicemente, non ci sono i numeri in parlamento. Quella battaglia andrà persa.
E poi, se vogliamo avere il quadro completo, c’è anche la partita delle prossime amministrative. A Roma Italia Viva ha già fatto sapere che appoggerà Calenda mentre il Pd vuole fare le primarie di coalizione. A Palermo, il capogruppo dei renziani al Senato, Davide Faraone, starebbe facendo di tutto per fare cadere la giunta di Leoluca Orlando e vorrebbe fare entrare la Lega in maggioranza. Vecchie ruggini, quelle tra Faraone e Orlando: l’occasione ora è ghiotta. A Roma si vota a ottobre, a Palermo a giugno prossimo. Faraone, per inciso, è lo stesso che dichiarando in Senato di voler modificare il Ddl Zan ha, di fatto, messo in pericolo la legge. Un grande favore proprio alla Lega che con il presidente della Commissione Giustizia del Senato, tiene bloccata la legge ormai da mesi.
Insomma, siamo ancora ai tempi di #enricostaisereno. Il fatto che tutto si giochi, anche, sulla pelle di comunità fortemente discriminate, colpite da odio e violenza tutti i giorni, è del tutto secondario.
Che a prestarsi a tutto questo ci siano persone della comunità LGBT+ e donne, diventate strumento di propaganda per le destre e le associazioni ultraconservatrici contrarie alla legge, aggiunge solo tristezza a tutta la vicenda. Ma ognuno sceglie di farsi notare come riesce: pazienza se questo porta danni ad un’intera comunità.
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