La rubrica curata da Erica Donzella esce eccezionalmente oggi, per onorare la memoria di Delia Vaccarello a un anno dalla sua scomparsa.
Cara Delia…
Cominciavano così le nostre telefonate, i nostri messaggi, le nostre conversazioni infinite via mail. Sono stata io a chiamarti, due anni fa, spinta dalla voglia incandescente di lavorare con te: emozionata, tremante di entusiasmo. Normale routine. Chiami un’autrice che stimi, la tiri dentro un progetto, speri che la tua voce sia abbastanza convincente e che ciò che vorresti vedere pubblicato un giorno possa interessare. Mi dicesti: “Davvero hai letto i miei libri? Che gioia che mi dai. Ma tu chi sei? Scrivi?”.
Essere la tua editor per è stato più di una routine professionale: quando mi arrivava un tuo racconto sapevo già che avrei dovuto tenere d’occhio il telefono, perché mi avresti chiamata nella frazione di pochi minuti. Sapevo che mi avresti regalato più di un confronto. Discutere con te era simile al bere da una sorgente di acqua fresca sempre vigorosa.
“Delia ho visto la tua mail, adesso ci lavoro”.
“Sì, ma voglio spiegarti bene”.
Ci tenevi a spiegarti, a indurre in me il coraggio delle parole, a dispiegare il ventaglio di emozioni che soppesavano le tue virgole, i tuoi stacchi improvvisi dentro una frase, l’anafora che rintoccava negli a capo e che mi faceva sobbalzare sulla sedia. I tuoi climax erano tutta la letteratura che ho sempre amato. Ma c’era sempre qualcosa di invisibile che volevi spiegarmi, quasi non bastasse alla parole lo spazio di un foglio bianco per dire tutto quello che tenevi dentro.
“Capisci, Erica? Non si può evitare di dire la verità quando si scrive. Non si può non scrivere la vita tutta, tumultuosa… Tu cosa ne pensi?”
Il mondo delle mie parole incontrava il tuo ed era simposio e comunione, era battesimo e cibo a cui attingere pienamente quando sentivo che la tensione per questo lavoro meraviglioso iniziava a scemare per via della stanchezza.
“Lo senti? Non posso togliere questo dettaglio, non posso asciugare. È necessario che ciò che ho scritto rimanga intatto”.
Mi manca la tua voce nella notte, quando mi chiamavi per discutere e chiedermi come stavo, perché per te ero diventata “gioia”, e non ero più soltanto la tua editor. Credevi fortemente che i racconti che stavamo tirando fuori fossero infiammati da tutto ciò che abbiamo sempre amato insieme: il corpo e il loro intreccio, il mondo fragile intorno agli esseri umani. Le anime degli esseri umani, quando si stagliano per contrasto contro la superficie. So che le nostre anime si sono amate, tenute insieme per vedere nascere qualcosa di denso.
Mi manca la tua scrittura, Delia. La lezione che mi hai dato in pochi mesi di coraggio, in questo piccolo viaggio che abbiamo fatto insieme.
“Devi credere in quello che senti, vatti a prendere l’amore che ti aspetti. Non vista la vita verrà”.
Sul tuo ultimo libro, quello lavorato insieme, quello costruito con la passione per le cose vive e indicibili, c’è una mia fotografia. Mi dicesti che ti sembrava corretto in fondo. Che insieme avevamo creato una piccola porzione di bellezza.
Cara Delia…
Ho ancora in mente la tua voce, il richiamo potente delle tue parole, il sarcasmo con cui bacchettavi la mia giovinezza, la dolcezza di una madre acquisita che ha indicato per me una parte di strada.
“Gioia mia, devi credere. Coraggio, sono con te”.
Cara Delia… avevi ragione. Mi sono immersa di nuovo nella vita, ma non ho dimenticato il nostro patto. Onorerò sempre il desiderio che è in noi, la verità della pulsione e la potenza della scrittura. Così mi insegni, oltre questa distanza incolmabile tra cielo e terra.
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