Politica&diritti

Delitto Pomarelli, le lesbiche prendono la parola: “È femminicidio e lesbicidio”

«Elisa Pomarelli è stata uccisa da Massimo Sebastiani, perché era lesbica e ha osato rifiutare le avances di un uomo che credeva suo amico» non ci sono dubbi sull’origine del delitto consumato lo scorso anno, il 25 agosto. A scrivere le parole più corrette per parlare della morte di Pomarelli sono le realtà lesbiche italiane e non solo, in un comunicato congiunto: «È stata punita» si legge ancora «perché rivendicava il suo diritto ad autodeterminarsi, a esprimere la propria identità e a scegliere liberamente le sue relazioni. Quello di Elisa è un femminicidio e un lesbicidio». A firmare l’appello, tra le molte sigle, ALFIEurocentralasian Lesbian* CommunityLesbiche BolognaLesbicxRete Donne Transfemminista di Arcigay.

Il femminicidio negato

Le ragioni per cui l’omicidio Pomarelli non è stato riconosciuto come femminicidio le dà Elena Tebano, sul Corriere.it: «Secondo il codice penale italiano, sono aggravati gli omicidi “contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva“. A Sebastiani però sono stati contestati l’omicidio volontario e la distruzione di cadavere, ma non l’omicidio aggravato». Se fuori dalla relazione, insomma, non viene riconosciuta l’aggravante.

Il lesbicidio non riconosciuto

E non finisce qui. Ricordano ancora le associazioni lesbiche che «l’aggravante di lesbofobia non gli è stata contestata in mancanza, ad oggi, di una legge specifica». E quindi, in virtù di tutto questo, «l’assassinio di Elisa non puó dunque essere riconosciuto né come femminicidio, né come lesbicidio, crimine d’odio di matrice lesbofobica, quando è entrambe le cose». Una questione di burocrazia e di giurisprudenza, a ben vedere. Che si abbatte, tuttavia, sulla dignità delle vittime.

Una stampa inadeguata

Ma la questione parte da lontano, soprattutto tocca la narrazione che si è fatta della vicenda. «Elisa non è stata uccisa solo in un modo. Nei giorni successivi al suo femminicidio, i media italiani avevano fatto ipotesi su una possibile relazione tra lei e il suo assassino, parlando di “gigante buono”» denunciano ancora le attiviste lesbiche. «Poi, quando il suo orientamento sessuale è stato reso pubblico, improvvisamente si è detto che la vita personale della vittima doveva essere protetta, che non bisognava supporre, né etichettare Elisa». Regole, ricordano le realtà firmatarie, che non vengono rispettate quasi mai: «Basti pensare a titoli come “Delitto gay” o ai continui riferimenti al sesso assegnato alla nascita delle persone trans nelle notizie in cui non c’entra alcunché».

La cancellazione della visibilità lesbica

«Molte testate hanno scelto di cancellare l’identità, la storia e le scelte di Elisa, invisibilizzandola in quanto lesbica, e con lei, noi tutte». E identificano il colpevole, le donne lesbiche che decidono di parlare e di usare tutte le parole che vanno usate: «Il lesbicidio di Elisa Pomarelli è anche il risultato della lesbofobia strutturale che permea l’intera società». Patriarcato, maschilismo e sessismo: una combinazione micidiale per la vita di tutte le donne e delle identità non conformi. «La violenza lesbofobica» si legge ancora «affligge quotidianamente le lesbiche in tutti gli ambiti della vita e può sfociare, come nel caso di Elisa Pomarelli, nella tragedia peggiore, l’assassinio».

Non rimanere in silenzio

E non ci stanno le attiviste e le realtà firmatarie: «Questa violenza non è più tollerabile e la denunciamo con forza, perché il silenzio e l’invisibilità non proteggono noi, ma i nostri oppressori». Ed una soluzione, per quanto parziale, c’è. «In questo contesto è più che mai urgente approvare una legge che riconosca un’aggravante per i casi di violenza contro le lesbiche e le donne, come quella che si sta discutendo in questi mesi in Parlamento». C’è una dolorosa consapevolezza in questo comunicato: «La storia di Elisa avrebbe potuto essere quella di ognuna di noi». Occorre fare qualsiasi cosa, perché queste storie non si ripetano più. Le donne lesbiche lo sanno e non hanno intenzione di rimanere in silenzio.

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