Vi verrebbe mai di mettere in dubbio che Sara Gama, la capitana della nazionale femminile di calcio sia una professionista? O Federica Pellegrini? Eppure, per lo Stato, loro e molte altre atlete non lo sono: se sei una donna e fai sport – con eccezione delle appartenenti ai gruppi sportivi militari – non puoi essere considerata professionista.
Fino a ieri, almeno, quando si è aperto uno spiraglio che tutto il mondo dello sport femminile aspettava da quasi trent’anni.
La commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla manovra economica che finalmente potrà aprire le porte del professionismo anche alle donne.
La notizia è arrivata mercoledì 11 dicembre, nel tardo pomeriggio. La commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla manovra – a firma Partito Democratico – che finalmente equiparerà le donne agli uomini. L’emendamento prevede l’estensione delle tutele previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo, prima precluse alle atlete. Il testo prevede anche l’introduzione di un incentivo – che partirà a gennaio 2020 e terminerà nel 2022 – per le società che stipuleranno con le atlete contratti di lavoro sportivi. Per queste società sarà previsto l’esonero del versamento del 100% dei contributi previdenziali e assistenziali entro il limite massimo di 8mila euro di su base annua.
L’emendamento della commissione, però, rischia di essere una vittoria di Pirro. A sottolinearlo è l’Associazione Assist, da anni portabandiera delle atlete azzurre in questa battaglia per la parità dei diritti. Nel post si legge: «L’emendamento della Commissione Bilancio del Senato per le ASD che promuoveranno il #professionismosportivo è senz’altro una buona notizia, ma è secondo noi assolutamente prematuro parlare di rivoluzione e di vittoria. Perché sia davvero così serve agire sulla Legge Delega. Sono vent’anni che chiediamo parità, ma perché sia così non basta un emendamento. Attendiamo fiduciose il lavoro del Ministro Spadafora per far sì che la notizia sia realmente tale. #atlete».
Per comprendere quale potrà essere, al netto della necessità della Legge Delega, la portata di questo emendamento occorre fare un passo indietro e tornare al 1981, anno di promulgazione dell’attuale legge che disciplina i contratti di lavoro sportivo, la n. 91. All’articolo 2 si legge: «Sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica».
L’interpretazione che è stata data fino a questo momento di questa legge ha creato una contrapposizione tra il “professionismo di fatto” degli atleti e il “dilettantismo imposto alle donne”. Con tutte le complicazioni del caso.
Gli accordi tra atlete e società sono (stati) di tipo privato, così come lo sono gli aspetti assicurativi. Il che implica che a fronte di un impegno sportivo di fatto paragonabile a un lavoro – per ore di allenamento, trasferte e annessi – non esista alcuna certezza di retribuzione. E quando arriva consiste spesso piccoli rimborsi o di gettoni di presenza.
A fine carriera la situazione si complica ulteriormente. Non solo il Tfr è un miraggio, ma si corre il rischio di creare un enorme punto interrogativo sul futuro delle atlete una volta smessi i panni sportivi.
La famiglie sono tutte diverse. I diritti, invece, devono essere tutti uguali. E' questo il…
La notizia è di pochi minuti fa: Torino ospiterà l'Europride a giugno del 2027. Per…
Una bufala che sta circolando, durante queste Olimpiadi, è quella del “not a dude”. Stanno…
Ammetto che ieri guardavo un po’ distrattamente la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi a Parigi. Sono…
Il comune di Catania nega la carriera alias alle persone transgender e non binarie della…
Ce lo ricordiamo tutti, Ignazio Marino, allora sindaco di Roma, che trascrive pubblicamente 16 matrimoni…