La notizia è rimbalzata nelle maggiori testate generaliste e Lgbt italiane: ieri mattina Roma, insieme ad altre città, si è svegliata con i manifesti di ProVita e di Generazione Famiglia. Due associazioni omofobe che si scagliano contro la gestazione per altri – per altro volgarmente definita “utero in affitto” – e contro i padri gay. Come se nella città eterna non bastasse la spazzatura, che in questi giorni prospera rigogliosa come mai attorno ai cassonetti. Ma soffermiamoci su questi cartelloni, per capirne la violenza implicita. Violenza che non si scaglia soltanto contro i maschi omosessuali che decidono di avere dei figli.
Ritorniamo ai due finti “padri” e alla loro espressione indifferente. Si gioca sullo stereotipo del gay bello e ricco – i due sono ben vestiti e alla moda – che per soddisfare un suo capriccio non si preoccupa del dolore inferto al bambino. Quando basterebbe aver conosciuto una qualsiasi famiglia omogenitoriale, che sia formata da due padri o da due madri poco importa, per sapere che la cura nei confronti della prole è prioritaria. E, come qualsiasi genitore degno di questo nome, porta a sacrifici enormi a discapito dei propri desideri.
Ma c’è di più: il bambino della foto, se guardiamo bene, assume una posizione strana rispetto a uno dei due “padri” ritratti alle sue spalle. E il tutto, corredato da quell’espressione sofferente, sembra voler alludere a un scena di violenza sessuale. Che si voglia alludere al pericolo “pedofilia” associato all’omosessualità? La cosa non stupirebbe. In tal caso questa immagine offenderebbe, ancora, chi ha subito violenza in tenera età, perché sembra usare quel dolore per colpire un modello sociale che si ritiene non idoneo.
Un cartello, insomma, che da solo offende tutte le categorie citate: le gestanti, i padri gay, i figli delle famiglie arcobaleno e chi ha subito violenza fisica in tenera età. E, se vogliamo dirla tutta, anche la lingua italiana. Perché solo una mente semplice – a voler esser buoni e non scomodare tutte le categorie dell’analfabetismo – potrebbe credere davvero che nelle famiglie arcobaleno si usino espedienti lessicali quali “genitore 1” e “genitore 2”. I bimbi arcobaleno, infatti, usano parole quali “mamma” o “papà”, come tutti gli altri. Andate e diffondete il verbo.
Infine. Su una cosa quel cartello ha perfettamente ragione: due uomini non fanno una madre e ciò è lapalissiano. Ma fanno una famiglia, ed è l’unica cosa che conta. Una famiglia in cui entrambi i genitori – sì, dello stesso sesso – riescono a essere figure funzionali, cioè in grado di tirar su bambini e bambine felici. Con buona pace degli omofobi o chi per loro.
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