Come a ogni tornata elettorale, e ciò vale anche per le elezioni europee, molte persone transgender possono avere problemi a recarsi alle urne. Spesso, infatti, c’è difformità tra il nome scritto sulla carta di identità e quello di elezione, così come tra aspetto fisico prima e dopo la transizione. Ciò porta a molte persone della comunità T a non recarsi a votare e a non esercitare il proprio diritto di scegliersi chi ci rappresenterà. Tuttavia, quest’anno riscontriamo alcuni segnali d’apertura.
L’Italia ha una legge targata 1967: essa stabilisce la rigida divisione in maschi e femmine, per quanto riguarda le liste elettorali. La comunità Lgbtqia+ da diverso tempo fa notare che tale impostazione binaria non corrisponde più alla più ampia e complessa composizione sociale. Una soluzione sarebbe quella di dividere l’elettorato secondo criteri alfabetici, ad esempio. Tuttavia la classe politica è ancora sorda a varare misure di buon senso e inclusive. Eppure, in alcuni comuni le cose stanno cambiando.
Il Comune di Milano e il Comune di Padova, ad esempio, hanno deciso di raccomandare ai/lle presidenti di seggio di non procedere per la separazione di chi vota per genere, pur ricordando che la legge prevede questa misura. Attraverso un apposito vademecum, si «invitano gli ufficiali a disporre in un’unica fila, invece di due divise per genere, elettori ed elettrici che aspettano di votare, per non creare difficoltà alle persone transgender, rispettandone la privacy e la riservatezza, evitando loro inutili disagi» si legge su Domani.
Accanto a questo tipo di iniziative, ve ne sono altre di supporto, da parte di realtà Lgbtqia+. Omphalos Perugia, ad esempio, ha predisposto un servizio di accompagnamento delle persone transgender al seggio, in modo da fornire supporto a chi volesse andare a votare senza dover fare coming out forzati. Pink Riot – Arcigay Pisa, invece, ha predisposto «una tessera, da presentare insieme ai documenti quando ci vengono richiesti (che sia ad esempio il voto o un controllo da parte delle forze dell’ordine), per comunicare discretamente la propria identità e dare l’opportunità alla persona davanti a noi di rispettarci, evitando domande, commenti ed esposizioni pericolose».
Ancora molto poco, ce ne rendiamo conto, per quanto lodevoli come iniziative. Eppure è un primo passo. Chissà che altre realtà e altri comuni non seguano questi esempi, in futuro, per garantire un’ampia partecipazione delle persone transgender e non binarie. Per garantire, in altre parole, alla democrazia di essere tale.
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