“#UnioniCivili C’è una storia che devo raccontarvi e c’è qualcuno a cui devo chiedere scusa” inizia così la “conversione” di Francesca Chaouqui.
Tutto ebbe inizio l’11 ottobre 2015 quando, attraverso un post su Facebook, Chaouqui si scagliò contro le famiglie omogenitoriali. “Tempo fa vidi una famiglia arcobaleno -ricorda lei stessa- e descrissi come “abominevole” la visione delle due mamme e delle loro figli”.
Oggi, però, qualcosa sembra essere cambiato: “Per una serie di ragioni nell’ultimo anno ho avuto vicino molte persone con orientamento omosessuale, persone che mi hanno accompagnato in momenti delicatissimi, che hanno vissuto la mia gravidanza con gioia, con calore festeggiando la vita come un dono prezioso e non come un capriccio”.
“Ho capito a fondo che a volte gli eroi sono quelli che scelgono di vivere quello che sentono nonostante tutto e tutti e non chi si nasconde, magari dietro un vestito da prete e tanto perbenismo inutile per non affrontare chi si è. E ho capito che l’amore è amore, e che ogni amore che non lede la felicità di altre persone è degno di essere vissuto.
Ho capito che sbagliavo, che non ascoltavo, che fingevo di non vedere che l’errore era in chi parandosi dietro un vangelo si ergeva a custode di una verità che non è mai esistita nella mente di dio”.
“E allora stasera festeggio chi a breve potrà sposarsi in Italia, prometto che mi documenterò sulle adozioni omogenitoriali e su tutte le pratiche che consentono alle coppie gay di avere bimbi.
Lo farò perché ho visto l’amore con cui una coppia di amici gay abbraccia Pietro [figlio di Francesca Chaouqui, nato nel giugno 2016, ndr], il rispetto e la cura che hanno di lui: non ho dubbi che un bimbo sarebbe felice con loro“.
Non solo gay: nell’ultimo anno Francesca Chaouqui è balzata agli onori delle cronache per un caso davvero scottante, il caso Vatileaks. Francesca Chaouqui e monsignor Vallejo Balda sono stati accusati dai giudici vaticani con l’accusa di sottrazione e divulgazione di informazioni riservate dello Stato della Città del Vaticano: il prelato è stato condannato a 18 mesi di detenzione, Chaoqui a 10 mesi (con pena sospesa per 5 anni)
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