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Fullin legge Fullin al Teatro OFF OFF: tra comicità, poesia e resilienza

«Alessandro, ma sei vestito da donna?»
«Mamma, anche tu!»
Non ci sono molte parole per descrivere lo spettacolo di Alessandro Fullin, in scena questo week end a Roma al Teatro Off Off (oggi pomeriggio, alle 17:00, l’ultima rappresentazione). Qui l’attore presenta il suo monologo Fullin legge Fullin. Colui che ha dato vita a quel personaggio indimenticabile che è “la professoressa di Tuscolana” o alla rivisitazione dell’opera dantesca ne La Divina, va semplicemente ascoltato. Per novanta minuti, la sua comicità travolgente vi abbraccerà, senza concedere pause. In un crescendo di arguta ironia, di gusto camp, di paradossi e aneddoti che accompagnano la platea, senza mai imporsi. Eppure, in quella delicatezza narrativa che prorompe in allegria e ilarità, c’è molto di più del “comico”. C’è, forse, un’intera esperienza di vita.

Una comicità travolgente

Fullin ne La divina

Ed è della sua vita, che ci parla l’attore triestino. Di quando, da bambino, si riconosceva come soggetto molto particolare. «Gli altri bambini avevano paura del buio. Io no». Pausa. Quindi, riprende: «Io avevo paura di Milva». La platea, ancora, si abbandona in accorate risate. Gli applausi spesso invadono il palcoscenico, costringendo Fullin a dover prendere fiato e a interrompere la narrazione. Poi riprende, raccontandoci della sua famiglia, dell’infanzia, del processo di consapevolezza e della scoperta del sé. Con grande ironia, senza nascondere le sue fragilità e i suoi punti deboli.

Una narrazione sulla resilienza

Ed anzi, di quei punti “deboli” ne ha fatto un punto di forza: a cominciare dalla voce. Una voce “troppo alta” e femminile, come lui stesso la definisce. Una voce che in un mondo dominato dalla mascolinità tossica viene vista come vulnus. Per Alessandro no. È ingrediente primario della sua comicità, della sua potenza scenica. La tonalità con cui pronuncia certe parole – a cominciare da Milva, di cui si è appena parlato – la giusta alternanza di pause e riprese, l’accostamento di immagini… tutto concorre a donare al pubblico un autentico gioiello autobiografico, dominato dalle corde della resilienza e della conoscenza di sé.

Una pièce tra poesia e cultura

E tra un episodio e l’altro – irresistibile quello della recita scolastica, che lo vede come protagonista – emerge molto altro. Emerge una rara sensibilità nei confronti della cultura, come quando ci racconta il triste destino che toccherà agli insetti bibliofagi (i tarli) per l’avanzare del libro elettronico ed è poesia la lezione che ne trae, sulla necessità di “divorare i libri”, in un tempo in cui la recrudescenza dei nuovi fascismi richiama a spettri di tempi in cui i libri, invece, si bruciavano. E altro ancora andrebbe detto. Contravvenendo a quanto si è detto in apertura: ovvero, che non servono molte parole. Fullin va semplicemente visto, amato e applaudito. Il resto è dolce reminiscenza.

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