A neanche un mese dall’incarico a Giuseppe Conte, il governo in carica – detto del “cambiamento” – si è già distinto per una serie di misure e di dichiarazioni che in altri momenti ci avrebbero fatto rabbrividire e ci avrebbero fatto urlare se non al fascismo, quanto meno al pericolo “democratura”. Invece, sembra che l’andazzo preso dall’esecutivo sia molto gradito all’italiano medio – che a memoria storica, non ha mai avuto oculatezza in cabina elettorale – e che le politiche razziste contro i migranti, insieme a tutto il resto, non lo tocchino. Vediamo più da vicino come è cambiata l’Italia in queste poche settimane. Con un piccolo spoiler: è cambiata in peggio.
Tra i personaggi più discussi abbiamo il ministro della Famiglia e le disabilità, Lorenzo Fontana. Quello che, in pratica, ti blocca su Twitter se gli fai notare che sta dicendo baggianate. Come quella sulle famiglie arcobaleno, che a sentir lui, non esisterebbero. Quando basterebbe fargli notare che, contrariamente al dio in cui crede, le coppie di persone dello stesso sesso con figli le puoi vedere e toccare con mano. E, contrariamente a quanto dicono i testi sacri da cui trae ispirazione – e che contengono un profluvio di inesattezze scientifiche che manco un sito di bufale – i testi di legge, nel resto del mondo civile, ne prevedono i diritti e l’esistenza giuridica.
Sempre Fontana non ha risparmiato le donne, attraverso un tema cruciale: quello dell’autodeterminazione. Per capire a cosa voglio alludere, riporto alcune sue dichiarazioni: «Purtroppo nel nostro contratto non c’è la stretta sull’aborto», ha dichiarato al Secolo XIX. Continuando: «Più che di aiuti alle famiglie io parlerei di aiuti alla natalità. Viva le mamme». Insomma, nell’angusta visione antropologica del ministro, le donne sembrano relegate al rango di incubatrici per la patria. Cosa che non sorprende, se pensiamo al ruolo che le donne hanno nel governo: su 63 componenti, solo 11 sono di sesso femminile. Il tuo voto conta, insomma. Se sei donna, però, molto di meno.
Sempre sul rispetto dovuto alla componente femminile, neppure Salvini eccelle. In un comizio a Brescia, infatti, ha dichiarato: «Perche poi in Italia abbiamo i fenomeni a sinistra che sono femministe e a favore dell’Islam. Mettetevi d’accordo con voi stesse: o fai la femminista o ti metti il burqa». Nessuno ha spiegato a Salvini che essere femministe non coincide col vestirsi all’occidentale, ma fare in modo che chi sceglie il velo lo faccia consapevolmente. Concetto, forse, troppo elaborato. E continua il nostro: «Magari qualcuna starebbe meglio col burqa. De gustibus non dispuntandum est… Faccio il ministro». Citazioni in latino alla mano.
E poi c’è il caso Aquarius. Una di quelle cose che ti fanno vergognare di essere nato nel “bel paese”. Innanzi tutto per come è stata raccontata la vicenda: in Italia non esiste nessun pericolo invasione. Gli sbarchi sono diminuiti del 76,8% rispetto al 2017 e del 72,37% rispetto al 2016. Andate e diffondete il verbo. E come possiamo leggere su Fanpage, «la lettura della situazione italiana come “emergenziale” non è solo sbagliata, ma è anche fuorviante». Infatti, «non è vero che il problema sbarchi riguardi solo l’Italia, non è vero che siamo i soli a farci carico dell’assistenza ai profughi». Spagna e Grecia sono nella stessa situazione. Salvini è in stato di campagna elettorale permanente: crea ulteriore consenso sulla sua persona lasciando in mare centinaia di persone. Intanto si prevedono tristi repliche.
Siccome il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere qualificante di un paese democratico e avanzato, e siccome l’Italia negli ultimi anni sembra aver subito sì un’invasione, ma da parte di masse analfabete, razziste e violente (per non dire, con unico termine, fasciste), ecco che arriva in ordine di tempo l’ultima geniale idea: un censimento per base etnica. Dei rom, per l’esattezza. Ma per carità, non chiamiamola schedatura. Solo una registrazione in un elenco di chi è rom e, soprattutto, di chi è rom e anche straniero. Perché, «i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa». Insomma, una schedatura. Adolf Hitler intanto, dall’inferno, guarda ammirato.
Accanto a queste dichiarazioni, avvengono anche altri fatti abbastanza preoccupanti per la tenuta democratica del nostro Paese. Come il caso dei tre giornalisti fermati dalla polizia e interrogati in caserma per i loro articoli «relativi ai presunti flussi finanziari della Lega», come si legge sul Post. Mossa dal sapore vagamente putiniano che ha portato anche a proteste formali dagli ordini dei giornalisti e dalla Fnsi. Più recentemente, due donne sono state fermate al pride di Siracusa dalla Digos perché manifestavano con in mano uno striscione critico con Salvini: «Non puoi manifestare contro il governo», la motivazione. Un tempo ai bar si diceva che non si parla di politica. Erano gli anni trenta e c’era Mussolini al potere.
Insomma, in nemmeno tre settimane abbiamo assistito a dichiarazioni di disprezzo contro migranti, gay, rom e femministe. Abbiamo visto come la visione della donna sia relegata a quella di partoriente e madre, alla faccia di cento anni di lotte. Si assiste a preoccupanti fenomeni da parte delle forze dell’ordine che minano il diritto di cronaca dei giornalisti, la libera circolazione di informazioni e la libertà di potersi esprimere secondo quanto previsto dal dettato costituzionale. In tutto questo, il M5S sembra quasi ridotto al silenzio. Ed è strano, se pensiamo che nella passata legislatura alzavano la voce anche su come andava cambiata una lampadina in Transatlantico.
Conte, di fatto, non esiste. Di Maio, dal canto suo, è caduto nel cono d’ombra generato dall’astro nascente di Salvini, che si profila come vero e proprio leader non solo della coalizione del centro-destra, ma dell’intera compagine di governo. Con solo il 17% dei voti. Per anni i grillini si sono fatti forti del fatto che grazie a loro il voto di protesta non è andato a partiti estremisti ed eversivi. Ora che sono al governo, hanno deciso di consegnare il 32% dei consensi proprio a quelle forze a cui volevano far da argine. Acriticamente, a quanto pare. Perché, torno a dire, il loro voto conta. Chi quel voto lo ha espresso, evidentemente, no.
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