“Governo dei migliori”, questa la dicitura con cui si indica nei media il governo Draghi. Eppure, alla vigilia del giuramento del nuovo esecutivo sia alla Camera sia al Senato, stanno emergendo non poche criticità sulle personalità che lo compongono. Criticità che toccano, più o meno indirettamente, i temi cari alla comunità Lgbt+. Vediamo più nel dettaglio di cosa stiamo parlando.
Fa discutere e genera non pochi malumori la nomina di Carlo Deodato a capo del Dipartimento degli Affari Giuridici e Legislativi. Per chi non lo ricordasse, si tratta di un magistrato che fu anche «relatore della sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi contro l’annullamento della trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero». Così riporta, appunto, La Stampa che fa notare ancora: «Dal profilo Twitter di Deodato emerge una sua presunta parzialità, visti i retweet di contenuti postati da gruppi cattolici che lottano contro le unioni civili».
Correva l’anno 2015. Il Consiglio di Stato fu chiamato ad esprimersi sui matrimoni contratti fuori dall’Italia. E ribaltò la decisione del Tar, che aveva riconosciuto i matrimoni siglati oltre confine, «annullando il registro del Comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero». Nella sentenza si stabiliva «la diversità di sesso dei nubendi quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna».
E in effetti, andando sul suo profilo su Twitter possiamo vedere alcune condivisioni poco felici, come quella di giornali quali Tempi contro il “gender” nelle scuole o La Nuova BQ, che riprendeva un’iniziativa delle Sentinelle in piedi. Venne pure creato un hashtag #iostocondeodato, in cui simpatizzanti del mondo anti-lgbt difendevano la sentenza contro il matrimonio egualitario. La bio, infine, dice molto sull’impostazione politica di Carlo Deodato: «Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società».
La nomina di Carlo Deodato è l’ultimo tassello, al momento, di un mosaico molto poco confortante riguardo l’uguaglianza di genere e le politiche di inclusione. Aver riconfermato Elena Bonetti – che non sembra aver fatto molto per la comunità Lgbt+ – al ministero delle Pari opportunità sembra garantire una sostanziale continuità con le scelte del governo precedente. Ovvero, il nulla. E non solo. Abbiamo già visto come la stessa Marta Cartabia, alla Giustizia, non è affatto una scelta rassicurante. Vicina a Comunione e Liberazione e contraria al matrimonio egualitario, non è di certo una figura da poter considerare come alleata.
Infine, la stessa presenza femminile dentro il governo Draghi è abbastanza marginale: solo un terzo dei componenti è composto da donne, la maggior parte delle quali occupa ministeri senza portafoglio. E non solo: c’è una vera e propria rivolta, dentro lo stesso Pd, per la mancanza di donne tra i ministeri guidati dai Dem. Oggi Monica Cirinnà ha rilanciato la discussione, dalla sua pagina Facebook, chiedendo al suo partito di «analizzare quanto accaduto nella formazione del governo Draghi» e di riflette su un’adeguata valorizzazione delle donne in politica. Di certo, la nascita del nuovo esecutivo non nasce sotto i migliori auspici. Non per quanto riguarda l’uguaglianza e i diritti civili.
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