Le persone transgender prendono la parola sul green pass e sulle polemiche che si sono sollevate negli ultimi giorni. Al punto che una legittima richiesta – ovvero, quella di non violare la privacy che il controllo dei documenti non rettificati potrebbe causare – è diventata una vera e propria fake news: la comunità transgender, secondo quanto riportato sul web e su alcuni siti, sarebbe contraria alla vaccinazione, al codice verde e vorrebbe un trattamento a parte. Niente di più falso. Per questa ragione si è diramata una nota di chiarimento, che mira a fugare ogni dubbio. Insieme ad essa, anche delle buone pratiche su come effettuare i controlli senza violazioni di sorta.
«La comunità LGBTQIA+ in questi ormai quasi due anni di emergenza sanitaria ha scontato sulla sua pelle le disparità del Servizio Sanitario Nazionale che, esasperate dalle pandemia, hanno reso ancora più fragili persone che già in tempi “normali” non sono in cima alla classifica delle preoccupazioni dello Stato» recita la nota. «Abbiamo risposto con molta responsabilità, chiudendo luoghi di ritrovo che erano anche di assistenza perché spesso quando non sei di casa nemmeno a casa tua, l’unica speranza è qualche ora nei circoli con quelle persone che ormai per molt* di noi sono le nostre vere famiglie. Abbiamo rinunciato ai Pride, tornando nelle piazze quest’anno, dovendo anche faticosamente trattare per spazi, modalità, partecipanti mentre intorno a noi vedevamo cortei e sit-in anche non autorizzati, anche con simboli fascisti».
Questa premessa serve per condividere quelle perplessità, soprattutto «in sede istituzionale riguardo l’esposizione a paricoli reali per le persone trans* in sede di identificazione, e lo abbiamo fatto a fari spenti proprio perché non volevamo essere strumentalizzat* dalla stampa di destra. Ovviamente non poteva bastarci l’interlocuzione con le istituzioni, perché oltre a presentare un problema è bene darsi da fare per proporre delle soluzioni, perciò abbiamo dato vita a un gruppo che si è occupato della tematica green pass in ottica trans* ma anche transfemminista e intersezionale». Da questo lavoro, nascono i suggerimenti che riportiamo di seguito.
«Ci siamo interrogat* sull’utilizzo del green pass non solo per quanto attiene alla questione ristorazione o altri luoghi di svago, ma anche sui luoghi di lavoro e per la fruizione di servizi pubblici. Sono situazioni in cui le persone trans* – anche in tempi non funestati da virus – si trovano tutti i giorni, costrette al deadnaming, misgenderate ancora di più allorquando si scopre “l’inganno” che la persona identificata non corrisponde al documento mostrato». Vediamo insieme quali sono queste soluzioni proposte alle istituzioni.
– Qualora si rendesse necessaria l’esibizione del green pass nei luoghi di lavoro i verificatori dovranno essere designat* tra le persone impiegate nell’ufficio risorse umane /HR/del personale, già responsabili della gestione dei dati riservati del personale;
– Qualora si rendesse necessaria l’esibizione del green pass nelle scuole (di ogni ordine e grado) i verificatori dovranno essere designat* tra le persone impiegate nell’ufficio della segreteria didattica, già responsabili della gestione dei dati riservati;
– Per una corretta gestione del green pass nei luoghi pubblici (come uffici comunicali, banche, poste, etc.) si renderà necessario rammentare al personale personale che viene designato alla mansione di verificatore le norme in materia di riservatezza dei dati personali;
– Sarebbe opportuno designare un luogo specifico da utilizzare per ulteriori verifiche dei dati personali, in caso di contestazioni, che sia accessibile ad una persona alla volta, nel rispetto della privacy della persona sottoposta a verifica;
– Si rende necessario informare con chiarezza i verificatori che per esempio dovranno astenersi dal fare commenti ad alta voce o leggere i nomi sui documenti con tono di voce udibile da altre persone presenti e che le violazioni della privacy possono essere oggetto di sanzioni secondo la normativa vigente.
Alla luce del lavoro corale che ha coinvolto diverse soggettività LGBTQIA+ e non solo, è ancora una volta necessario evidenziare quanto sia impellente risolvere la questione delle carriere alias, nelle scuole e sui luoghi di lavoro, nella fruizione dei servizi pubblici; a fronte di alcune segnalazioni ricevute, da student* e personale del MIUR di ogni ordine e grado, dai chi lavora sia nel settore pubblico che privato, ribadiamo che è illegittimo richiedere diagnosi di incongruenza di genere a chi avvia la procedura di attivazione di una carriera alias (in caso di documenti anagrafici non rettificati) perché la richiesta viola la vigente normativa sulla privacy. La carriera alias è un diritto delle persone trans*, a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come indicato dall’articolo 2 della Costituzione.
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