Ogni settimana in Italia assistiamo a uno o più terribili casi di femminicidio. Eppure la politica sembra rimanere immobile e nonostante la pressante richiesta ad oggi manca la previsione di un reato specifico e una norma che lo punisca in modo forte, posto che la normativa ad oggi presente non sembra sufficiente come deterrente per tali crimini.
Sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa siglata ad Istanbul l’11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza verso le donne e in ambito domestico, il decreto mirava a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori (stalking).
Venivano inasprite le pene quando il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato in presenza di minori; quando il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza; quando il fatto è consumato ai danni del coniuge o del partner, anche divorziato o separato.
In merito al delitto di stalking è stato ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti che sono state estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in constanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici.
Altre norme del decreto poi riguardano specificamente i maltrattamenti in famiglia con possibilità anche di allontanamento urgente dell’indiziato in caso di gravi indizi di colpevolezza.
Infine nel decreto è stabilito che i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio (cioè ad avere un avvocato gratuitamente) anche in deroga ai limiti di reddito e viene previsto anche il rilascio di uno specifico permesso di soggiorno per motivi di protezione.
A completare il pacchetto di norme è stato varato un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevedeva azioni di intervento multidisciplinari per prevenire il fenomeno.
Nel decreto si parla di in modo generico di violenza di genere ma non si affronta il tema specifico del femminicidio, ovvero di quegli omicidi compiuti su donne perché donne.
Come spiega bene la scrittrice Michela Murgia, infatti, “la parola femminicidio non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché“.
In Senato sono stati presentati diversi disegni di legge che parlano espressamente di femminicidio, disegni di legge che però rimangono fermi ai blocchi di partenza da oltre 3 anni.
Uno è il DDL 764 intitolato “Introduzione del reato di femminicidio” e presentato in data 4 giugno 2013 dalla senatrice Alessandra Mussolini e altri senatori del PDL:
Il testo, molto semplice, prevede l’inserimento nel codice penale dell’art. 613 bis che commina un aumento della pena da un terzo alla metà per determinati reati compiuti nei confronti delle donne (circostanza aggravante ad effetto speciale).
Leggendo la cronaca è evidente che su questo tema c’è davvero tanto lavoro da fare, da un lato applicando le leggi già esistenti, e dall’altro prevedendo delle norme più specifiche e più forti che possano fare da deterrente.
Ovvio che il lavoro più grande da fare è nella società dove il linguaggio (in senso lato) maschilista e prevaricatore sulle donne è purtroppo predominante.
In ogni caso, care amiche, non sottovalutate i segnali di una possibile violenza di genere e ricordatevi di denunciare sempre: se il vostro partner usa violenza fisica o anche solo verbale su di voi non è amore.
Vale la pena ricordare che esistono organizzazioni per la tutela delle donne vittime di violenza a cui tutte possono rivolgersi, come il Telefono Rosa e i centri antiviolenza.
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