Ricordate la questione dell’identità di genere, su cui le destre (estreme e non) e Italia Viva hanno fatto barricate e/o distinguo in Senato, indebolendo e ottenendo infine di affossare il ddl Zan? Sì, proprio quella. Ricordate cosa si diceva? Introdurre il concetto di identità di genere avrebbe aperto al self-id, chiunque avrebbe potuto percepirsi come uomo o donna a seconda del capriccio del risveglio e avrebbe potuto cambiare identità ogni giorno. Perché si sa, i percorsi di transizione sono passeggiate di primavera. Ed è facilissimo effettuare il passaggio da un genere a un altro. O almeno, questo credevano leghisti, meloniani, forzisti (con qualche distinguo) e cattolici di ogni ordine e grado. E con questa gente qui Italia Viva voleva mediare. Ricordate tutto questo, vero?
Ebbene, l’identità di genere non è più un problema. Non più per Italia Viva, che voleva invece eliminarla dalla legge contro i crimini d’odio – sostituendola con la formula giuridicamente inconsistente di “transfobia”, che in linguaggio giuridico non vuol dire nulla – né tantomeno per la Lega o per Forza Italia. È stata votata, infatti, una norma che vieta le pubblicità discriminatorie. Il cosiddetto “decreto infrastrutture” votato a larga maggioranza in Senato (lo stesso che ha applaudito per la bocciatura sul ddl Zan) dopo il voto di fiducia chiesto dal governo. Con ben 190 voti a favore. Fiducia necessaria, dopo i soliti distinguo dai banchi del centro-destra.
«Il decreto» si legge sul Fatto Quotidiano che riporta la notizia, prevede che sia vietata «sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche». Una bella notizia, non c’è dubbio. Fosse non altro che a lamentarsi di una presunta e non pervenuta fine di ogni libertà possibile ci sono i soliti: realtà ultra-cattoliche, destre di ogni ordine e grado, femministe trans-escludenti. E quindi vuol dire che la decisione è buona e giusta. Ma c’è un ma.
Simone Alliva, sulla sua bacheca, centra il punto della questione: «Sono andato a cercare l’emendamento al dl Infrastrutture che sta facendo infuriare Pro-Vita e la destra. Trovo molto curioso che a firmarlo sia stata oltre che Alessia Rotta (PD) anche Raffaella Paita (Italia Viva). Curioso perché l’emendamento specifica tra le fattispecie anche l’identità di genere». Insomma, Italia Viva per l’ennesima volta firma a favore dell’inserimento del concetto di identità di genere in una legge dello Stato. Ma contrariamente a quanto accaduto per il ddl Zan, stavolta, lo vota senza opporre la minima resistenza.
Continua, il giornalista dell’Espresso: «Allora l’identità di genere esiste e non è un’invenzione di Alessandro Zan?» e ancora, «allora se è un termine giuridico valido, perché IV ha fatto le barricate chiedendo ulteriori mediazioni e parlando di gender e altre cose care alle femministe transescludenti e ai pro-vita?» Domanda che necessiterebbe di una risposta. Sia da parte del partito di Renzi, che ha smerigliato ogni gonade sulla vicenda. Sia della capogruppo Bernini, che in Senato ha dato prova della sua contrarietà al ddl Zan (e sceglietevele meglio le icone gay, in Senato, al prossimo giro). Sia da parte di Salvini e i suoi parlamentari. Quelli che applaudivano, perché lo spettro dell’identità di genere non avrebbe corrotto gli italici costumi, per intenderci. Chissà com’è che hanno cambiato idea, nel giro di appena otto giorni.
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